martedì 31 agosto 2010

L'odio che seminasti in me

L’odio che seminasti in me, oggi schiude e dà i suoi frutti.

Sento un’amarezza nuova, una sottile nota persistente

Nera come il catrame. È sulle palpebre, sta crescendo.

Vedo solo ora ciò che non vidi prima: hai aperto altri occhi.


Passo dopo passo m’appesantisco e sento il tempo perso

Gravare sui polmoni. Per quanto mi fece soffrire, oggi il tuo

Sorriso ha il colore del ferro – ma non sono più calamita.

Sono altro ferro, pronto a tagliare.

venerdì 27 agosto 2010

Il Nodo, ovvero L'Io legato

[Per ogni sorta di chiarimento sul progetto generale rimando al primitivo abbozzo dello schema così come lo scrissi più di tre mesi fa e alla sua compiuta e più recente presentazione.
Come già ripetuto, state per leggere una traccia teorica, senza pretese di esaustività. Se lo trovate eccessivamente complesso, saltatelo.]

Da una parte, il discrimine del soggetto creante dalla società di provenienza, per fondare e appropriarsi di una voce isolata, indipendente da qualsivoglia influenza esterna. Dall’altra il dialogo con la Tradizione, ogni volta storicamente determinata, che agisce sull’opera del singolo ormai maturato in artista, purché la sua voce non risulti annichilita. Sono queste le prime due figure che abbiamo individuato nell’analisi razionale del processo artistico.

Tuttavia, almeno per l’analisi della causazione dell’arte, manca un passaggio fondamentale *.

[* Si può dividere il processo artistico in due fasi distinte, che si compenetrano e si rinforzano: la causazione dell’arte – ovvero le cause della nascita dell’artista e della sua opera – e la finalità dell’arte; tuttavia, meglio non anticipare nulla, per non confondere maggiormente le idee.]

L’artista non può restare isolato in se stesso. Come ogni essere umano, fin dalla nascita vive con e per gli altri, in una rete sociale che non si può fare a meno di eludere, per quanto stretta e paralizzante essa possa risultare *.

[* Esiste dunque una ragione biologica della vita sociale dell’essere umano, spiegata dalla biologia evoluzionista e dall’antropologia; ragione talmente radicata in noi da non poter che riflettersi nella facoltà artistica – la più marcatamente umana di tutte le nostre facoltà – che spinge il singolo a (ri)proporre alla società di provenienza le sue opere.]

Abbiamo già detto, con una formula colpevolmente oscura, che “nessun genio è isolato”. Questo non vale solo a livello compositivo o, per così dire, tematico – artistico (in quanto l’arte si rinnova dalle sue ceneri, e si alimenta con la sua stessa vita) ma anche e più semplicemente a livello sociale.

In altre parole, l’artista per essere riconosciuto come tale ha bisogno di riavvicinarsi alla società dalla quale in un primo momento si era distaccato. L’Io rimane legato, per così dire, al suo ambiente di provenienza, con il quale non potrà mai fare a meno di dialogare, forse anche in modo inconscio.

Il nodo che abbraccia artista e società è un nodo costitutivo del concetto stesso di “arte” *.

[* Il processo artistico, che nasce dal singolo, diverrebbe sterile se non conoscesse un altro dialogo, quello con la società, che ridefinisce i rapporti dell’Uno con gli Altri; l’artista può cercare di reintegrarsi oppure rifiutare di farlo: in ogni caso le sue scelte dialogano con l’Altro.]

Si rende perciò manifesta un’altra curiosa proprietà del fenomeno artistico, il suo essere causato non propriamente da un singolo artista creante , ma piuttosto da un “soggetto sovraindividuale” formato dal singolo (il motore), dagli spettatori o fruitori dell’opera (i destinatari) e dal periodo di tempo occupato nel riconoscimento dell’arte *.

[* Quel che a prima vista sembrerebbe una bizzarria, in realtà non è che una formulazione dettata dal buonsenso e dall’esperienza quotidiana. Abbiamo finora parlato di “fenomeno artistico” proprio perché, come tutti i fenomeni, esso è temporaneo e richiede un agente e un oggetto. L’esperienza artistica non è immortale, né sempiterna: dipende dalla fruizione dello spettatore. Senza di esso, l’arte non esiste. Il fenomeno artistico potrebbe durare meno di due mesi, o addirittura, nel caso di un’installazione moderna, solo qualche minuto. La variabile “tempo” influisce enormemente sull’intero processo; tuttavia non è necessario che i due momenti di creazione e ricezione siano contemporanei.]

L’arte è bifronte: nasce da un’individualità pura e allo stesso tempo dipende da una collettività. Il dialogo con la società permette all’arte di compiersi in essa.

Per capire quanto importante sia il ritorno alla società di provenienza, ovvero a quel gruppo di persone che sono disposte a dialogare con l’opera dell’artista, basta pensare a quello che succederebbe se il singolo non proponesse i suoi lavori alla collettività.

Il problema della divisione tra arte e non-arte, allora, non si porrebbe neppure, in quanto non si avrebbe nulla da analizzare: l’opera, al di fuori del pubblico, non esiste. Esisterebbero materiali, opere d’arte potenziali; ma la qualità viva dell’arte resterebbe latente e sconosciuta.

Solo quando il pubblico interviene a dare vita all’opera, innescando quel processo di riconoscimento che la attualizza, si può parlare di una conclusione del processo artistico.

Dall’Io distaccato, in cerca di un’individualità biografica oltre a quella sociale, si passa a un Io dialogante con la Tradizione, in conflittuale rapporto col passato; infine, l’Io legato sarà costretto a riconoscere l’impossibilità di un distacco definitivo dall’Altro, in quanto è l’insieme sovraindividuale Creante – Ricevente a fondare l’opera d’arte in atto.

lunedì 16 agosto 2010

Il Dialogo e l'Epoché della Tradizione, ovvero l'Io dialogante

[Per ogni sorta di chiarimento sul progetto generale rimando al primitivo abbozzo dello schema così come lo scrissi più di tre mesi fa e alla sua compiuta e più recente presentazione.Come già ripetuto, state per leggere una traccia teorica, senza pretese di esaustività. Se lo trovate eccessivamente complesso, saltatelo.]


Abbiamo analizzato il processo attraverso il quale il soggetto si separa momentaneamente dalla sua società di provenienza per la creazione (che forse è la prima vera e propria creazione artistica del singolo) di una voce individuale; ovvero di come, attraverso quella fase che abbiamo chiamato il principio del discrimine, il soggetto si distacca dal suo Io collettivo per fondarne uno biografico, necessario – ma non sufficiente – alla fase creativa *.


[* D’ora in avanti, quando verrà usato il termine società, andrà inteso in senso lato, non come universalità d’individui al di fuori del soggetto creante o come appunto “società umana allargata”, ma piuttosto come Gemeinde, in quanto comunità di provenienza ristretta, legata alla biografia singola e irripetibile di ogni individuo; se si preferisce, e se non fosse paurosamente inflazionato, si potrebbe utilizzare il termine di J. A. Barnes e chiamarla social network, ovvero una rete sociale determinata da queste e non altre relazioni.]


L’Io, ormai distaccato e formatosi pienamente in sé, è sì capace di parlare con una voce propria, ma non è ancor pronto a ritornare in seno alla società d’origine, né tantomeno maturo per la creazione di un’opera artistica.

Si tratta quindi di (ri)creare un legame con un’altra società, quella passata e mai passata della Tradizione *.


[* Immaginiamoci la Tradizione, non come una biblioteca straripante di libri ingialliti, né come una galleria polverosa. Sforziamoci piuttosto verso una visualizzazione più astratta, sebbene, a prima vista, forzata: un po’ come per l’atomo, circondato da una nuvola elettronica – in quanto rimane impossibile decidere la posizione dell’elettrone in un dato e preciso momento – avremo un individuo e una “nuvola tradizionica” impossibile da analizzare una volta per tutte. Il principio di Heisenberg rimane valido anche in ambito extra-scientifico.]


Prima di ogni altro dialogo, è di capitale importanza per l’individuo cercare conforto e ascolto in una comunità diversa da quella fisica (da cui si è distaccato liberamente e a cui ancora non è possibile far ritorno) e scampare dal completo isolamento in se stesso (pericoloso per la sua stessa esistenza): è la comunità spirituale o metafisica della Tradizione quella in cui il soggetto trova un primo rifugio *.


[ * Certamente, non si può parlare di una tradizione unica, uguale in ogni tempo e in ogni luogo; ma di una Tradizione specifica, legata, un po’ come per la società di provenienza, ai tempi e ai luoghi, nonché al gusto del soggetto creante. Ad esempio, la Tradizione medievale, in termini di autori e opere (ma non di temi) differisce enormemente da quella settecentesca, così come la tradizione di Dante, differisce da quella di Cecco Angiolieri.]


Consultando la Tradizione nasce il primo dei Dialoghi che porteranno poi alla creazione artistica. La Tradizione diventa, allo stesso tempo e secondo le indoli diverse dei singoli, campo di scontro, di coltura e di raccolta dei temi artistici *.


[* Ciò è reso possibile dal fatto che i temi artistici sono in sostanza permanenti. L’”artisticità” – utilizzando un neologismo che comprende tutti gli aspetti della sfera emotiva dell’uomo, da quello sensitivo a quello estetico – è probabilmente ancorata alle più antiche e profonde zone del cervello umano, cioè a quelle parti cerebrali adibite al controllo delle emozioni e alla memoria emotiva. È possibile che molti di questi materiali siano rimasti invariati dall’inizio della storia culturale umana, così come lo sono state le stesse emozioni umane. Ne è riprova il fatto che, fin dai suoi primi passi e in culture ben diverse e lontane tra loro, l’arte umana si è confrontata con temi – morte, amore, divinità, sofferenza, bellezza etc. – e storie che presentano molti tratti in comune.]


Il dialogo con la Tradizione, con i suoi autori e con i temi permanenti offre il materiale grezzo su cui l’individuo può cominciare a lavorare, dapprima guidato da altre voci nell’interpretazione del mondo, poi cercando di interpretare il proprio mondo attraverso i propri occhi e cercando di rimodellarlo secondo la sua voce.


In altre parole, è proprio quando il soggetto creante, attraverso la sua opera, riesce a far parlare la Tradizione di sé e del suo tempo, che si può dire senza paura di sbagliare di trovarsi al cospetto di un’opera d’arte.


È l’Io che si fa dialogante, penetra la Tradizione e si esprime in essa – in ciò consiste la maturazione necessaria dell’artista, prima di ritornare alla società di provenienza *.


[* Quanto spesso si sente dire che un’opera di oggi x dialoga con un’opera della Tradizione y, e come facilmente di fissano accostamenti tra personalità della storia con personalità del presente. È il filtro del passato ad assegnare una statura.]


Ma per far parlare la Tradizione con la propria voce – o, ancora meglio, per far parlare di noi la Tradizione – bisogna riuscire a non rimanerne schiacciati.


Il peso specifico di opere e autori storici può essere impressionante, e c’è il caso che, anche solo il pensiero di uno scontro o di un Dialogo con la tradizione, ammutolisca il soggetto creante.


L’individuo può avvertire dolorosamente la propria statura di fronte ai giganti del passato (celebre la frase di Bernardo di Chartres a proposito) e la paura di una battaglia persa in partenza, dello scherno dei contemporanei o la frustrazione di fronte all’altezza inarrivabile degli antenati, rischia di annullare la forza creativa e costringerla all’afasia.


Il pericolo è davvero quello di finire schiacciati dal peso della Tradizione. Per questo è necessario parlare di un’epoché conoscitiva, o ancor meglio, di un’epoché della tradizione.


Per riuscire a creare autonomamente, ovvero in modo che il Dialogo con l’orchestra della Tradizione si risolva positivamente nella “vittoria” della voce singola, l’individuo mette momentaneamente tra parentesi il passato e decide di dare risalto alla propria voce – ovvero dimentica per un attimo chi lo ha preceduto, lasciando parlare e creare il proprio Io *.


[* Ci sono autori ossessionati dalla Tradizione, al punto che, spesso, per loro non si tratta più nemmeno di creare nuove opere, ma di superare gli antenati, o, più semplicemente di confutarli e criticarli, come per ridurre le loro dimensioni.]


Per riassumere, quindi, una volta instaurato il Dialogo con la Tradizione, si tratta di impiegare le proprie forze nella creazione di una conflittualità propositiva, che consiste nell’imparare a dialogare con il Passato senza cadere nell’afasia.


Se il Dialogo con la Tradizione riesce ad essere convogliato nel giusto modo, rimanendo in equilibrio senza che la voce del singolo si annulli in essa e senza che essa finisca per venire dimenticata del tutto, si avrà la nascita di una creazione artisticamente e teoricamente matura, favorita da una previa epoché artistica e arricchita da un notevole peso specifico datole dalla Tradizione stessa.


Attraverso questo dialogo, l’opera d’arte matura e acquisisce come una porzione del peso storico totale della Tradizione, che la fa crescere e progredire.


Da tutto questo derivano due conseguenze che ci stanno particolarmente a cuore.


La prima, piuttosto ovvia, è che nessun genio è isolato. Non esistono e non sono mai esistiti autori in grado di ignorare la tradizione e creare qualcosa di completamente nuovo, in nessun campo artistico, né oggi né mai.

L’arte si basa necessariamente su vari Dialoghi, dei quali uno è quello con la Tradizione. Al di fuori di esso non vi è arte né creazione artistica, al massimo provocazione o estetismo, ma rimane un qualche dubbio anche sugli ultimi due *.


[* Anche in ambito scientifico, è provato (vedi T. Kuhn, La struttura della rivoluzione scientifica e I. B. Cohen, La rivoluzione nella scienza) che le scoperte cosiddette rivoluzionarie, non nascono dal genio isolato di un solo scienziato chiuso nel suo laboratorio, ma derivano piuttosto dallo studio di opere precedenti e dal dialogo con i contemporanei riguardo tentavi falliti e ipotesi in fieri.]


La seconda, che discende dal discorso sulla permanenza dei temi, è una proposta che riguarda l’abbandono definitivo di qualsiasi tipo di classificazione delle opere d’arte. Se è vero che i temi dell’arte permangono gli stessi, attraversano secoli e secoli di storia senza subire modifiche di sorta – l’arte non è cumulabile, per essere brevi – allora è altrettanto vero che non reggono classificazioni di generi e correnti artistiche.


Non ha senso classificare né etichettare (se non forse per comodità accademica e scolastica, ma anche qui, come sopra, permane qualche dubbio) in quanto per poter classificare occorre distinguere differenze categoriche essenziali; differenze che in arte semplicemente non sussistono *.


[* Esistono forme diverse, è vero, e queste forme vanno legittimamente registrate e riconosciute, ma non si può parlare di temi diversi, poiché i temi sono rimasti invariati durante questi ultimi millenni di storia umana, e non si può creare una categoria speciale per un periodo così lungo. Esistono storie e soggetti diversi, si potrebbe dire; ma questi d’altra parte non sono riconducibili a una corrente o a un genere. Essi sono semplicemente individuali, irriducibilmente legati ad un solo ed unico soggetto creante, troppo particolari per rientrare in ragnatele categoriali. Ma di questo, più avanti.]


Avviato il Dialogo con la Tradizione, processo che non cesserà mai per tutta la vita dell’artista (ora si può osare chiamarlo così) e che filtrerà, per così dire, la sua stessa voce, occorre adesso istituirne un altro, non meno importante e non meno necessario del primo, l’ultima fase della causazione dell’arte: il Dialogo con la società di provenienza, ovvero il dialogo con l’Altro.


martedì 3 agosto 2010

Il principio del discrimine, ovvero l’Io distaccato

"Mi piacerebbe scrivere in onore dell'Uomo,

ma vorrei che gli uomini non toccassero ciò che scrivo."

J. Keats



[Per ogni sorta di chiarimento sul progetto generale, rimando al primitivo abbozzo dello schema così come lo scrissi più di cinque mesi fa e alla sua compiuta e più recente presentazione.

Come già ripetuto, state per leggere una traccia teorica, senza pretese di esaustività. Se lo trovate eccessivamente complesso, saltatelo.]


Nell'analisi razionale del processo creativo occupa un ruolo di primaria importanza il distacco più o meno graduale tra l'individuo creante e la società in cui egli vive.

La connotazione negativa del termine "discrimine" va mantenuta quasi totalmente nella nostra indagine; il fenomeno del distacco è spesso vissuto nel modo più traumatico dal soggetto, che, pur scegliendo liberamente di separarsi dalla società, ne è in un qualche modo costretto per necessità interiore *.

[* Formulazione paradossale solo in apparenza: così come le nostre azioni non sono direttamente riducibili al corpo, allo stesso modo non possono essere considerate al di fuori di esso. In questo caso la scelta individuale è e rimane libera, nonostante derivi da un bisogno – forse – biologico.]

Non possono non venire in mente i riti d'iniziazione che nascono con la stessa civiltà umana: per poter essere accettato come membro di una società (o, più semplicemente, di un gruppo che si riconosce come tale) l'individuo veniva isolato e lasciato solo ad affrontare la prova prescritta *.

[* cfr. Lévi-Strauss, e Propp]

L'analogia, che sulle prime può apparire sviante, ci serve tuttavia per capire una differenza fondamentale.

Al contrario del rito d'iniziazione, stabilito dalla comunità ed esplicitamente sostenuto dall'individuo al fine di essere accettato e trovare un posto autonomo in seno alla propria società di provenienza (cioè per integrarsi, diventare tutt'uno col gruppo e scampare alla solitudine), nel caso del processo artistico, il fine è diametralmente opposto.

È l'individuo che sceglie liberamente di distaccarsi dalla società di provenienza per ritrovare una propria dimensione soggettiva. L'allontanamento è la condizione preliminare per la creazione (o, più spesso, per il restauro) di una propria identità, che rischiava di andare perduta *.

[* Esemplificando: il poeta non scrive per essere accettato dalla società. Il suo non è uno sforzo di riavvicinamento (vedi la citazione iniziale di Keats; gli esempi sono troppi per essere raccolti qui); al contrario egli scrive per marcare una differenza ed attaccare quella società, in cerca di una voce autonoma.]

L'accento deve essere posto sulla libertà intrinseca di questo processo. Non stiamo parlando di clausure medievali o di reclusioni forzate; né il processo si consuma in romitaggi montani o in mezzo a deserti da anacoreti. No, l'allontanamento dalla società è senz'altro figurato, metaforico ("Io non sono come loro").

Una socializzazione soffocante non concede all'individuo la possibilità di coltivarsi, o, se si preferisce, di creare una propria dimensione sociale appagante e riconosciuta. Oltre all'Io
Sociale, l'uomo sente la necessità di un Io Individuale.

La crisi che segue dalla mancanza di un posto nella società, e dal rifiuto di essa, può sfociare nell'avversione e nel distacco dell'individuo, che sceglie di isolarsi e rifiutare il proprio tempo e spazio *.

[* Il sentimento di repulsione che nasce dal rifiuto della propria comunità (tanto più doloroso poiché si tratta sempre della "comunità materna", per così dire) spiega molti fenomeni altrimenti poco chiari e bizzarri; ad esempio l'incredibile quantità di opere satiriche e polemiche che affollano le nostre librerie. Difficile trovare un volume che non abbia almeno un diretto ed esplicito obiettivo polemico o che, più semplicemente, non dia prova di un'aperta ostilità nei confronti di qualcuno.]

Si potrebbe formulare, a livello filosofico, che il principio del discrimine, necessario punto di partenza per la ricerca artistica, consiste nella creazione dell'Io individuale oltre a l'Io sociale. Il mezzo è l'isolamento figurato dell'individuo dalla sua società.

Questo allontanamento, o questa discriminazione volontaria, è di capitale importanza per lo sviluppo di una propria voce autonoma, necessaria poiché voce del racconto.

La creazione artistica si basa infatti su un dialogo incessante tra l'individuo creante e la società in cui vive, in quanto, in mancanza di uno o dell'altra, non si avrebbe opera d'arte. L'una (l'opera d'arte) si basa sull'altra (società) in un rapporto incessante di amore ed odio, rapporto talmente indissolubile da diventare esso stesso condicio ontologica dell'arte in sé.

[* Di più: il rifiuto da parte della società può in alcuni casi addirittura amplificare il "potere creativo" – o foga artistica – del soggetto.]

A sua volta, il dialogo comporta l'esistenza di due voci. Il principio del discrimine assicura la creazione di una voce isolata e personale necessaria alla creazione artistica.

Come già Eraclito aveva intuito in tempi ormai remoti e confusi, "il conflitto (Πόλεμος) è padre di tutte le cose e di tutte re"; padre, poiché non si ha vita senza conflitto, l'una discende dall'altro (io esisto ed occupo uno spazio; questo spazio è necessariamente spazio sottratto ad altro; l'identità si fonda sull'alterità); re, poiché ogni sforzo umano è diretto da esso (ogni nostra più insignificante azione è già di per se conflittuale, in quanto si basa sulla scelta – in altre parole: aut-aut).

Anche e soprattutto la creazione artistica - in quanto figlia della vita - non può fare a meno del conflitto, e si basa su esso. Avremmo potuto chiamare il principio del discrimine, "principio del conflitto", se solo non suonasse terribilmente reazionario e decadente.

Questo spiega anche perché la dimensione della creazione artistica non può che essere individuale: è l'individuo che sceglie liberamente l'auto-discriminazione; è l'individuo che deve ricercare una propria autonomia espressiva; è l'individuo che stabilisce il rapporto dialogico con la società; è l'individuo che eleva la propria biografia a materia prima della creatività.

L'ultimo punto in particolare merita un'ulteriore breve precisazione.

Se è indubbio che nessuna opera d'arte può trascendere dall'individualità dell'artista (abbiamo detto che è un Io Individuale a causare l'Arte), allora è altrettanto vero che la biografia costituisce una privilegiata e formidabile chiave di lettura per l'opera in sé.

È evidente che l'opera non è l'uomo: sarebbe infantile e inesatto sostenerlo. C'è e ci sarà sempre un residuo della personalità dell'artista che viene mascherato dalla parole, dai colori, dalle note.

Siamo tuttavia pienamente convinti che non si possa dimenticare, come al contrario voleva Croce, l'esistenza di una persona in carne ed ossa dietro l'opera che stiamo, ad esempio, leggendo.

Valori come la coerenza, l'impegno sociale, la difesa senza compromessi dei propri principi, verrebbero negati se credessimo che la biografia è totalmente altro rispetto all'opera *.

[* No, su questo punto non si può davvero transigere: la biografia è una componente essenziale per capire a fondo le motivazioni, le scelte, le storie i soggetti che un autore decide di trattare, e non si può fare a meno di essa in uno studio che abbia la pretesa di essere filologico.]

Attenzione però a non equivocare l'importanza dell'individuo e della sua biografia con una sorta di elogio dell'individualismo. Dall'individualismo discenderebbe la superfluità della dimensione sociale che, come invece abbiamo già detto, è necessaria per il dialogo "Io-Altri".

La figura centrale del Dialogo, dopo quella del Conflitto, la analizzeremo meglio nel prossimo intervento, quando dall'allontanamento dell'individuo si passerà allo studio della tradizione come componente dialogica vera e propria, filtrante il rapporto "Io-Altri".