venerdì 3 dicembre 2010

La gita al MEI

A tutti i "nostri" interferiti, che ci seguono da più di un anno, con grande affetto

Come ogni anno è arrivato (e passato) il MEI; come ogni anno mi sono concesso una gitarella a Faenza e qualche cd nuovo; come ogni anno, pioveva.

Cos'è il MEI? Presto detto: Meeting Etichette Indipendenti.
Meeting: tanta gente. Etichette: qualcosa che ha a che fare con la musica, nella migliore delle ipotesi. Indipendenti: non chiedetemi da chi o che cosa, vi prego. Tanti capelli, tanti jeans stretti come insaccati, tante giacchette scure, tanto trucco. Molta disillusione e artisti dallo sguardo vacuo che non “emergeranno” mai.

[Che brutto verbo, emergere: e per le associazioni involontarie che crea con la materia fecale, e per l'idea che per diventare qualcuno occorra stare “sopra” gli altri.]

La cornice è sempre quella della fiera di Faenza: uno slargo di cemento, casermoni dal tetto blu arcuato che sembrano usciti da un incubo di Sant'Elia, tendoni bianchi che ingoiano la gente e paiono digerirla con brontolii raccapriccianti (e invece sono le band che suonano dentro).

Alle 5, calano le tenebre azzurre di novembre; i lampioni si specchiano nelle pozzanghere e fra i buchi del cemento, atmosfera post-bellica da grande e sperduta periferia dell’est; il casino comincia a darti alla testa: devi tornare a casa.

Perché m’ostino ad andarci?
Per vari motivi.

1) I buoni prezzi che puoi trovare. Facendo un rapido calcolo: vado al MEI da 6 anni; ogni volta torno a casa con non meno di 5 cd; almeno 30 esemplari (dei più rari e soddisfacenti) vengono dalle bancarelle del MEI. E non sborso mai più d’un cinquantone.

[Esemplari di quest'anno: Love “Da capo”; Brian Wilson “Smile”; una compilation tributo a John Peel (doppio); Pixies “Surfer Rosa”.]

2) Lo stand della casa editrice ISBN e Arcana: i loro titoli, per quanto riguarda la storia e la critica musicale, non sono secondi a nessuno in Italia. Non è raro trovare occasioni o sconti.

3) Lo stand del Mucchio: ogni anno faccio amicizia o scambio quattro chiacchiere con qualcuno della redazione. L'anno scorso era toccato a Guglielmi, quest'anno alla Raugei. Ragazza giovane, piuttosto anonima, stretta di mano scialba, ma sguardo simpatico. Le faccio i complimenti. Risponde “Grazie.” Non ci siamo piaciuti.

4) I casi umani: non c'è nulla come il MEI per farsi quattro risate sulla pelle degli altri, soprattutto quando si è depressi.

Anche quest'anno la scelta era piuttosto varia. In primis, le ragazze della biglietteria.
“Salve, ho un acconto del comune di Ravenna.” “Mi dia pure.” “Prego.” Sguardo perplesso. “Mi scusi ma lei è assessore?” Inizio perfetto.

Poi gli stand più improbabili; capelloni sforacchiati di piercing che ti guardano passare in cagnesco perché non ti fermi davanti alle loro cinture fatte con le cravatte.

Oppure l'oggettistica radical, portafogli e accessori vari fatti con i materiali di scarto delle bici. Molto graziosi, non c'è che dire, ma “mi costa una vita”, diceva il buon Battisti, e non ho voglia di farmi prendere in giro perché porto una cintura fatta con una ex-camera d'aria.

Infine, gli strambi. Non parlo solo degli artisti, quelli sono spesso casi patologici. Parlo del pubblico.
Quanto amo guardare il pubblico! Il motto gaberiano del “far finta di essere sani”, qui non può essere applicato. Di più, è ribaltato: si fa finta di essere strani.

Per riscaldarmi un po', entro nella tenda in fondo alla piazza, forse la tenda M, non ricordo. 
Sul palco una ragazza che sembra vestita con un unico lenzuolo, periplo da matrona e berretto giamaicano. A fianco, un tipo sulla cinquantina, coppola e maglione della nonna smanetta con un Mac. Alla sua destra, un ragazzo non tanto più giovane, bocca costantemente aperta, ondeggia i folti capelli ricci e guarda stupito il pubblico, quando non è alle prese con cavi, cavetti e manopoline. 
Hanno appena finito di lamentarsi col presentatore (per vostra e sua fortuna non descriverò il suo abbigliamento) della mancanza di etichette italiane che producono il loro tipo di musica, e della triste necessità di dover cercare ingaggi all'estero.
Poi inizia il tormento: base dubstep ripetuta, atmosfere soffuse, qualche strepitìo in qua e in là, bassi alti e alti molto bassi, voce femminile salmodiante qualche oscura e seducente formula in inglese. Ma tant'è.

Soltanto una ragazza, forse della mia età, isolata in mezzo al pubblico, sembra apprezzare la loro musica: accenna la ritmica con le mani, che disegnano cerchi nell'aria; alza ginocchio destro, lo abbassa, alza ginocchio sinistro, lo abbassa, ondeggia la testa e si toglie i capelli dalla bocca una volta sì e una no. Qualcuno ride, si crea il solito “cerchio dell'imbarazzo”; prima di uscire faccio in tempo ad origliare alcuni commenti sull'eccessivo consumo di droghe.

5) Le riflessioni che ti spinge a fare, sulla tua terra, sulla tua generazione, sul tuo passato (cerchi di ricordarti con chi eri andato l'anno prima, e quello prima ancora, e come stavi, e che avevi in testa, e come sei cambiato, e la primissima volta col tuo amico, e l'autografo di Freak Antoni...), sugli eventi: su te stesso.