Parte ultima. Umanismo e anti-umanismo in una teoria estetica del non-finito.
Bisogna
sottolineare che, in questo discorso, non rientra lo studio della
cause del non-finito,
quanto piuttosto quello dei suoi effetti. Le esperienze estetiche che
scatena sono infatti indipendenti dalla sua origine. Per questo il
Cenacolo – che il
tempo ha reso non-finito – è, in linea teorica, assimilabile ad
uno dei tanti Prigioni
di Michelangelo, nati incompiuti. Non si fa differenza tra volontà
(o meglio, mancanza di volontà) dell'artista ed effetto casuale del
tempo.
Si è detto che il
non-finito raggruppa attorno a sé tante esperienze estetiche
diverse: fascinazione e ammaliamento – altri direbbero “rêverie”;
senso di perdita e rottura simmetrica dell'armonia; fastidiosa
sensazione di perdita irreparabile; forse l'intuizione della
sublimità del tempo.
Potremmo
quasi azzardare una definizione: il non-finito è il contrario
dell'opera classicamente intesa. Laddove un'opera d'arte si dice
classica quando è perfettamente compiuta in sé stessa, equilibrata
e proporzionata, nel senso più alto “finita”
(e pensiamo al particolare valore che, nel mondo greco antico, il
termine “limite”
assumeva), il non-finito è l'opera che rompe l'armonia, la
simmetrica perfezione di forme e di lettura, e diviene aperta,
illimitata allo sguardo dell'interprete.