È
passato mezzo secolo dalla pubblicazione del capolavoro di Gadda, La cognizione del dolore. Era il
1963. Usciva presso Einaudi, in un'edizione bellissima, con un saggio
iniziale di Contini più difficile dello stesso romanzo, raccogliendo
per la prima volta in un unico volume i vari episodi apparsi sulla
rivista Letteratura durante la prima travagliata stesura, dal 1938 al
1941.
Nonostante
parlasse di quell'Italia, il libro parlava a questa Italia. Vent'anni
non sembravano, già allora, essere passati. Certo, c'era stata la
guerra, il grande miracolo economico di mezzo; quindi la mutazione
antropologica, la laicizzazione d'importo. Eppure, quasi librandosi
sulle diagnosi pasoliniane, quasi cancellando con un colpo di spugna
quell'indiscutibile rottura storica, il libro di Gadda parlava,
urlava, raccontava di un'Italia più profonda, surrettizia, la
borghesissima Italia della continuità e dell'immobilismo.