martedì 30 marzo 2010

Bologna, 26 Marzo 2010


Bologna la sera si spoglia del rosso,
D’un rosso che ne impregna l’intonaco
che la tinge d’un tramonto chimico.
Si riveste di marmo e vetro verde;
Colonne infinite e bottiglie vuote
La sorreggono; non starebbe in piedi,
Ubriaca matrona di mollezze.
Balbetta piano infantili sciocchezze
Fatte di clacson e risate, di ritmi
Inebriati d’alcool e polveri
secoli, là tra le ombre claustrali
o sul filo di mille e mille passi
mille e mille pagine; ma silenti
rimangono alla folla che la mangia
dal di dentro, chiassosa metastasi
di soldi e sorrisi. La città s’è persa
e mi chiede indicazioni. Non le so.
Mi dice che si sente una puttana,
e non ricorda più le sue poesie.
Osservo muto il laterizio scuro
Di San Petronio (grottesco il suo viso!)
e rispecchio in esso la mia incompiutezza.

venerdì 26 marzo 2010

La spirale della luce, la spirale della tenebra: dissoluzione progressiva nel conflitto cosmico

Dedico l'intervento ai pochi lettori che si lasceranno "interferire"
per intensificare il loro conflitto


Cercando di evolvere l’aspetto geografico del mondo curvo da me sommariamente tracciato ne “La Chiave Obliqua”, ho inconsciamente spostato l’attenzione dalla fisicità simbolica della realtà dell’arte all’anima dell’uomo, descrivendo nella mia ultima pubblicazione il conflitto che ruota attorno alla contrapposizione fra la luce e la tenebra che dominano l'essere e ne caratterizzano la natura.

William Butler Yeats, imprescindibile punto di riferimento per chiunque voglia addentrarsi all’interno delle luci e delle ombre del tutto universale, delineò nella sua principale opera teorica, intitolata “A Vision”, uno schema della sua visione storica, che consiste nella rappresentazione di una compenetrazione di due coni, uno chiaro e l’altro scuro.

Questo schema rappresenta l’alternarsi continuo delle epoche storiche, il decadere di una e l’elevarsi di un’altra, in un continuo movimento a spirale che descrive progressive dissoluzioni e progressive elevazioni dello spirito e degli avvenimenti del cosmo.

Lo schema può adattarsi perfettamente anche alla realtà intima dell’uomo. Immaginiamo di identificare in questi due coni antitetici i principi della luce e dell’oscurità: si potrà facilmente giungere ad una visione fluente dello spirito e della psiche, ad una sorta di incessante contrasto fra pulsioni “positive” e pulsioni “negative”, che andrà a condizionare ogni aspetto della vita dell’essere umano per portarlo, dopo un lungo periodo di consunzione, al finale disfacimento, alla resa che non vedrà alcun vincitore.

La guerra fra la luce e la tenebra si conclude nell’uomo in silenzio, come implodendo, e sfociando infine in un unico grande tutto che riappacifichi le due parti, oppure riprendendo il conflitto in una dimensione più elevata, al di fuori dei limiti imposti dalla biologia e dalla fisica.

Il conflitto è ciò che porta ad essere ciò che si è, insieme a ciò che non si è, perché si diviene se stessi e poi di nuovo ci si perde e perdendosi si ha l’occasione di ritrovare il sentiero che porta in mezzo ad una foresta misteriosa in cui ci si smarrisce dopo pochi passi. Il pellegrinaggio uccide il pellegrino, la mano del cavaliere cede alla sua stessa spada e sulla terra precipita l’oblio che darà luce a ciò che non è in ombra.

Come concepire una realtà statica che sia totalmente chiara o totalmente scura? Il simbolo della doppia spirale assume quindi una perfetta obliquità, una curvatura che è l’unica legge del cosmo: il conflitto domina il tutto, la lotta fra corpo e anima non conosce vincitori, così come nel simbolo non si risolve la dicotomia fra estensione del significato e protezione della realtà esoterica lentamente svelata.

Il mondo curvo penetra nell’uomo, l’uomo curvo penetra il cosmo.

domenica 14 marzo 2010

La poesia della primavera

La mia terra si presta al canto
Come neve calda
Fiorita d’amore
Nel marzo che fu dicembre
E che suonò del suo eco
Nella sfera del nostro spirito.

Il campo di vento
Pervaso dall’ebbrezza solare
Risorge di suoni
Facendosi nuovo e fiorito
Fra le brevi chiazze di ombra
Ora stelle scintillanti.

L’oro della sera
Scende piano a calmarmi
E il mio cuore rimbalza
Sullo specchio del ciliegio
Che distende gli occhi placidi
Sulla curva del paesaggio.

La luna copre le braci
E calma i soffioni nella brezza
Fino alla terra velata
Dove, raccolte in ghirlande,
Le collane splendettero
Di una remota volontà.

lunedì 8 marzo 2010

Il fallimento del femminismo, Parte Seconda: l'erotizzazione della donna



A Sara, un’amica e una madre.


La prima parte dell’intervento voleva essere un’analisi, supportata da immagini e video, del cambiamento della visione della donna e del suo spazio sociale, con particolare enfasi all’ambito musicale.

La donna era prigioniera del suo corpo. Poi, esasperata, lo ha imbrandito come un’arma, come istanza di protesta, come simbolo di una propria dignità. Quindi, ormai libera, ne ha intuito le potenzialità infinite ed ha cominciato ad utilizzarlo come strumento di autorealizzazione. Ora, portata agli estremi questa scelta, ne sono di nuovo ridivenute schiave.

Oggi la donna non può fare a meno del corpo, un po’ come la musica, per potere affermare pienamente se stessa.”

Giungere a queste conclusioni è stato relativamente facile, soprattutto perché, servendosi di un canale comunicativo formidabile e diretto quale quello musicale, è più semplice trasmettere e generalizzare idee o contenuti teorici.

Un problema emerge ora in tutta la sua gravità. La trattazione deve per forza farsi più astratta, perdendo necessariamente un quid in immediatezza ed efficacia.

L’astrazione di questo secondo intervento dipende in primo luogo dal cambiamento d’ambito: da un settore relativamente facile da ordinare e sicuramente più quotidiano, quello musicale o spettacolare, si passa ad un non-ambito, quello sociale.

Cosa c’è di più quotidiano della socialità?, mi risponderete.
Vero, ma come tutti gli ambiti vivi, e per quello in continua evoluzione, è difficile isolarne componenti teoriche fisse; sei condannato alla mobilità, non puoi prendere le distanze. Per questo l’ho chiamato non-ambito.

Secondariamente, l’astrazione è necessaria per epurare l’analisi da componenti che derivano dalla mia esperienza personale, che potrebbe inficiare enormemente la neutralità dell’intervento.

Certo, la riflessione parte necessariamente da esperienze personali e osservazione diretta, ma non si esaurisce qui, o meglio, tenta di non farlo.

Come avevo promesso nella prima parte, non intendo fare moralismo. Per questo è necessario fugare ogni dubbio soggettivo e scrivere con mente lucida.

Per iniziare credo sia necessario introdurre il concetto di erotizzazione della società.

Vivere in una società erotizzata significa essere sottoposti ad impulsi erotici frequenti (superiori, cioè, ad una teorica soglia standard) e diffusi a vari livelli di comunicazione.

Le cause dell’erotizzazione della società non possono essere ricercate in questa sede, per complessità e per ragioni di spazio.

Sicuramente però, le leggi del mercato capitalistico hanno avuto una grande parte nella sua genesi. Dal momento che il prodotto di mercato si trasforma da prodotto di sopravvivenza a prodotto di consumo, emerge il bisogno di stimolarne la vendita, che altrimenti non avrebbe luogo.

La pubblicità nasce ovviamente a questo scopo; ed è proprio al fine di persuadere il consumatore che essa fa leva sui suoi impulsi naturali.

Se non fosse così, la pubblicità di oggi (almeno la maggior parte di essa) sarebbe il frutto del peggiore (migliore?) incubo di un erotomane; né non si potrebbe spiegare la presenza di personaggi divenuti ormai parte integrante dell’immaginario spettacolare, ossia le celebri vallette.

Credo quindi che si possa dire che l’erotizzazione nasca come fenomeno pubblicitario, e che il suo scopo sia quello di attirare l’attenzione dello spettatore facendo leva sui suoi istinti (intesi in senso puramente psicologico e non biologico).

Ma non sono sicuro che l’analisi del fenomeno si possa fermare qui.
Devono sicuramente esistere degli altri motivi, più difficili da individuare, che ne hanno causato l’insorgenza.
Per adesso tuttavia, basti questo.

Quello che qui interessa sono piuttosto gli effetti dell’erotizzazione della società, di come questo fenomeno sia penetrato gradualmente nella coscienza della società Occidentale fino a divenire quasi inavvertito.

Come tutti i fenomeni sociali c’è bisogno di un certo lasso di tempo affinché si possa dire con sicurezza che siano divenuti “fenomeni quotidiani” o condivisi dalla maggioranza dei componenti della società.

Credo che oggi si possa affermare che il fenomeno dell’erotizzazione sia ormai divenuto quotidiano, almeno per quanto riguarda la mia generazione (dalla metà degli anni ’80 alla metà degli anni ’90, con buona approssimazione).

Ora, cosa c’entra tutto questo con il femminismo? Come si può parlare di un fallimento del femminismo?

La grandi battaglie per i diritti delle donne, combattute in piazza nella metà degli anni ’70 in Italia, ha avuto profondi effetti sociali.

Le donne, a costo di terribili sacrifici e non senza profonde contraddizioni ( si veda a proposito il bellissimo documentario Vogliamo anche le rose di Alina Marazzi) sono finalmente riuscite ad imporre de jure la loro uguaglianza civile (si pensi che le legge sul delitto d’onore è stata abrogata solamente nel 1981), in un paese condannato al severo controllo del clero e di un ceto politico indifferente ai bisogni concreti degli elettori.

In altre parole, e parafrasando il famoso slogan (“io sono mia”), le donne hanno ripreso il controllo del loro corpo, e lo hanno utilizzato, esposto e mostrato come simbolo di una propria dignità e libertà.

Il cambiamento rispetto alla situazione odierna non potrebbe essere più profondo.
Credo, a questo proposito, che il femminismo abbia cambiato non solo l’assetto giuridico del nostro paese, ma anche la ricezione e il modo di pensare il corpo femminile.

Si sono riconosciute le enormi potenzialità del loro corpo femminile che, con il passare del tempo, è passato da simbolo e fine del pensiero femminista (si pensi all’aborto, tema ancora oggi dibattuto e combattuto, e alle atroci sofferenze, sia fisiche che psicologiche, che comportava l’aborto illegale), a mezzo e risorsa per guadagnarsi un posto in ambito sociale.

Liberate dalla posizione di mogli e madri, da un peso ancestrale che finalmente si disgregava sotto la spinta di una nuova coscienza civile, ora si poneva per loro il problema di trovare un posto nella società, di ricreare finalmente un’identità che esulasse dalle istituzioni tradizionali.

Questo fattore deve aver giocato un ruolo fondamentale nel cambiamento e nel progressivo fallimento degli ideali femministi; considerando inoltre
a) un potere sempre crescente del capitalismo spettacolare;
b) un’incipiente crisi in ambito politico, la crisi dei partiti e delle ideologie (destinata ad esplodere da lì a pochi anni); e
c) la nascita di una televisione commerciale del tutto priva di una deontologia etica;

ci si può fare un’idea quantomeno fumosa ed imprecisa ma utile, delle cause che hanno “ritorto” il corpo della donna contro se stessa.

Oggi il fenomeno ha raggiunto un apice in intensità e diffusione. Per acquisire un certo prestigio sociale e per arrivare de facto alla parità civile, la donna è costretta (o accetta) di vendere il proprio corpo, la propria immagine.

Lo sdoganamento più totale e sfrenato dell’erotico nella vita quotidiana non potrà non avere profonde conseguenze anche sul modo di vivere le relazioni, la femminilità e il rapporto tra uomo e donna; conseguenza che cominciano ad essere osservate in questi anni nella nostra generazione.

Disinformazione innanzitutto; ma anche noncuranza per i sentimenti del partner, profonda insicurezza, fobie inestirpabili in molti, ansie e rifiuto del proprio corpo.
Non c’è ambiente o strato sociale, oggi, svincolato da questo tipo di logica.

Oggi l’uguaglianza della donna (ri)passa per il corpo.

Non si possono raggiungere cariche pubbliche di una certa importanza senza l’aiuto di un uomo o dell’aspetto; non si può più nemmeno immaginare che le donne vengano ripensate socialmente e accettare che esse abbiano una dimensione mentale diversa dalla nostra; che manifestino i loro sentimenti senza necessariamente cadere, a vostra scelta, nell’isterismo o nel sentimentalismo.

Credo la vera perdita, in fondo, sia quella di un’autonomia caratteriale, di una dignità che riguarda in primissimo luogo la personalità della donna, il suo modo di viversi tale, che oggi tende ad eclissarsi – sembra – necessariamente dietro tipi o precise categorie.

Sono convinto che una donna compiutamente autonoma, in televisione come nella realtà, oggi farebbe paura, inquieterebbe lo spettatore o l’interlocutore.

E, cosa ancora più grave, “darebbe nell’occhio”; grave dal momento che, invece, dovrebbe essere la prassi.

E certamente una classe politica che propone un’immagine femminile machista e stereotipa, (in)naturale figlia del nostro tempo, non aiuta di sicuro a contrastare il fenomeno dell’erotizzazione della donna.

È questo che chiamo “fallimento del femminismo”.
È questo che osservo soprattutto nelle ragazze (e conseguentemente nei ragazzi, in negativo) della mia generazione.
È di questo che prendo atto, senza potere fare a meno di provare una profonda inquietudine.