lunedì 16 dicembre 2013

Il costo del profitto. Da Ravenna a Prato

Un filo rosso accomuna la tragedia del 1987 nei cantieri Mecnavi di Ravenna, nella quale morirono 13 operai e quella dello scorso primo dicembre, a Prato, quando si è scatenato un incendio che ha fatto 7 morti. Questo filo rosso è la logica del profitto, che non comprende le ragioni della "nuda vita".

Qui l'intervento completo sul blog collettivo Pequod

giovedì 12 dicembre 2013

Gadda e la rabbia civile

È passato mezzo secolo dalla pubblicazione del capolavoro di Gadda, La cognizione del dolore. Era il 1963. Usciva presso Einaudi, in un'edizione bellissima, con un saggio iniziale di Contini più difficile dello stesso romanzo, raccogliendo per la prima volta in un unico volume i vari episodi apparsi sulla rivista Letteratura durante la prima travagliata stesura, dal 1938 al 1941.

Nonostante parlasse di quell'Italia, il libro parlava a questa Italia. Vent'anni non sembravano, già allora, essere passati. Certo, c'era stata la guerra, il grande miracolo economico di mezzo; quindi la mutazione antropologica, la laicizzazione d'importo. Eppure, quasi librandosi sulle diagnosi pasoliniane, quasi cancellando con un colpo di spugna quell'indiscutibile rottura storica, il libro di Gadda parlava, urlava, raccontava di un'Italia più profonda, surrettizia, la borghesissima Italia della continuità e dell'immobilismo.

lunedì 11 novembre 2013

L'artista sprofondante

Chi ci ha educato all'emersione, e perché? L'anabasi frustrante verso la luce, verso il riflettore – il movimento della falena intontita – mi sembra proprio lo sbracciarsi irrequieto del venditore di piazza. Sogna l'emergere chi è immiserito del reale. Sogna la luce chi beve solo notte. Tutti educati allo stesso movimento d'ascesa, alla stessa scalata asociale, tutti desiderosi di pane e interviste, “venite e sarete incensati, c'è posto per tutti, anche per chi ali non ha”.

venerdì 1 novembre 2013

La città in bilico

"Istanbul è una città di confine? Questa è la domanda più difficile. 

Agli occhi dell'ovvio, la risposta è sì: Istanbul è l'ultima città europa che si possa ancora considerare di confine, ovvero un limes tra due mentalità diverse e per certi versi inadeguate l'una all'altra. Istanbul con un piede in Europa, Istanbul ortodossa e bizantina; Istanbul con un piede in Asia, Istanbul dei minareti e del caffé turco.

Ma a ben vedere, il confine implica separazione, discrimine. Qua inizia la civiltà, mentre hic sunt leones. Questa separazione, ad Istanbul, non l'ho vista. È la sua stessa storia di città di scambio, pedaggi e mercanti ad impedire che le parti, come in un composto chimico, si separino per decantazione."

Dopo tre anni, si torna a parlare di Istanbul, ma attraverso le immagini
Continua a leggere


giovedì 24 ottobre 2013

Il sapere che manipola

[Articolo pubblicato originariamente per Pequodrivista]

Nei filosofi di professione prevale un giudizio per lo più negativo circa la questione della tecnica. Si passa da uno sfumato sospetto ad un atteggiamento scettico, fino ad arrivare spesso a posizioni di aperta ostilità.


Siano essi di scuola heideggeriana o adorniana, seguano il pensiero critico francese o quello cattolico fideista non importa: sembra proprio che, per grande parte della filosofia, la tecnica ponga un problema fastidioso, come una matassa difficile da sbrogliare, che si preferisca accantonare sbrigativamente sotto l'etichetta riduttiva della “volontà di potenza”.

giovedì 17 ottobre 2013

Lo sperimentalismo innocuo


La storia è nota. Nel 1828 un giovane di sedici anni compare all'improvviso nella città di Norimberga. Non si sa chi sia, né da dove venga. Le uniche cose che riesce a dire sono il suo nome, Kaspar Hauser; le uniche cose che riesce a mangiare sono pane e acqua. Alieno pur non essendo alieno? un Cristo senza alcuna Parola da rivelare? Non è dato saperlo. Viene ucciso da mano ignota nel 1833. Il suo epitaffio lo descrive come “eanigma sui temporis”.

venerdì 20 settembre 2013

Disimparare ad accontentarsi

Si racconta che Dino Campana, prima di vendere i suoi Canti Orfici, fosse solito squadrare attentamente l'acquirente di turno alla ricerca di particolari fisiognomici rivelatori della sua preparazione poetica. Chi passava l'esame con successo, “lo spirito poetico puro”, si vedeva consegnare il libretto intero, tuttalpiù privo qua e là di qualche pagina; ai malcapitati, invece, spesso non restavano che due o tre poesie – e delle meno riuscite. Effe Ti Marinetti, “lo schiaffo ed il pugno”, si dovette accontentare della sola copertina. Non è forse un diritto del poeta quello di difendersi dagli occhi degli imbecilli?

martedì 17 settembre 2013

Il castello di Pietra Mora



Nuova poesia dedicata ai ruderi del castello detto di 'Pietra Mora', edificato su di un affioramento roccioso - lo 'Spungone' - che partendo dal torrente Marzeno, nelle prime colline faentine, arriva fino alla frazione di Capocolle, nel comune di Bertinoro (FC). 

Il sito è ricordato anche da Luciano de Nardis in un breve articolo di argomento folkloristico da lui steso per la rivista romagnola La Piê:

"Sotto Monte Sassone, accanto ai ruderi del castello della Pré Mora (Pietra Mora), nel banco dello spungone sullo strapìombo della voragine del rio della Samoggia, fra le colline a monte di Faenza e Castrocaro nella zona di demarcazione dell’antico confine fra la terra del Papa e quella del Granducato, sono scavate le quattro grotte delle fate (chiamate anche busa – buca - e camaraz – cameraccie). Questa pietra era un prodigioso palazzo, nei lontani millenni delle Fate che lo disertarono quando l’uomo non credette più alla poesia, ma vi lasciarono, pegno del ritorno, i loro magici telai d’oro, su cui l’anima tesseva le canzoni che nessuno sa più! E perché l’uomo non ne facesse sua preda, confidarono la guardia dei telai a un biscione che sibila minacce e con un soffio precipita nella voragine le ladre scalate, quando mai tentassero le porte inviolabili."
(L. De Nardis, La Piê, 1925)

Ecco la poesia:





Era pena, l’asse

il sostegno

del monte alle grotte





era la morte della larva –

tenuta dei cocci,

del voto fatuo alla fioritura





erano briciole del corpo

del prode,

       voce selvatica che

       ne sgola i lembi …


E un testo precedente, ispirato alla leggenda della grotta delle fate e già pubblicato su questo blog:


 
Le dame di Monte Sassone


Il tempo sfilacciato di una vita
che nulla può farci l’ago
ha avuto forse pietà di noi
delle case abbandonate quando
il passo del giaguaro
seminava grida pari
al crollo delle terre
sotto il bacio dell’aratro

quando il seme inselvatichiva
e la mala pianta taceva
i segreti andati in fiamme

quando gonfie nubi ferrose
s’alzavano sulle rovine
e custodi di sale ricolme
di bronzi e di giade
lasciavano che il filo delle lame
si dipanasse ai loro piedi  

quando
quando

quando

*

e a fare come il cavaliere,
che all’ago preferì i telai d’oro
delle dame di monte Sassone

– si badi alla luce delle vesti
come un tempio il cui marmo
sia inciso nel fuoco di costellazioni
ma spolpando il frutto della luce
il succo ripugna
come un porcaro
vestito da signore –

e il cui corpo sbriciolato
fu gettato dalla furia del serpente
giù nell’ombra della terra
fino a fare minerale del pensiero,

noi cosa perderemmo
e cosa avremmo al sicuro ora
che il secco si beve tutto
che i lembi del lago hanno branchie
da cui svapora l’oro dei campi?




(la foto qui sotto è di Stefano Ciani)




mercoledì 4 settembre 2013

Poesia astratta su Adolfo Wildt

Opera di riferimento: 'La fontanella santa', marmo, mosaico, onice e bronzo dorato




cautela si brucia
al scaturito presente  
del dipeso, del
potere
(un fuoco bianco
che lo conteneva)


e la pace severa,
arco volto di bronzo
al sereno

dirà
l’onice aspro e

duro, empireo
fulgente e corona. 


martedì 20 agosto 2013

Anteprima

Un po' di poesie dal nuovo libro in lavorazione.


1)
 
Che ne fu o sarà di bontà
del declino del mangiare
e del campo, piana o terra
del legarsi e del
legame …


cose a cui dare la caccia
che filtra il setaccio e le
ammolla
in luce


ma la speranza era raccolta
nell’interrogatorio.


Non c’era risposta.
Io non sapevo dell’incastro
né del personale esser grato
al contesto e alle pedine
al volere disarmato.

2)

 
concilio


maturare
ripidare
scoscendere e assalire
rotta in piana,
slargante fuochi e rame

concitata.


Nulla ha del ricatto
del valore, del martirio:
è la propaggine
bianca, il paladino in testa.

 
Dio elettrico del monte
adora
Traliccio di potenze
indora.

3)
 
sorte del borgo


bruciati i bestiali
della vestizione
    e le chiare, i morti
fiato corto di cani,
                         di lume


fu la madre
stupore grato
a farne roccia, setola e lucore


vuota l’ospitalità,
cauto l’ospite selvatico
immobile

strenua, la forza
s’impunta nella pista,
il nido nella trave.

4)

Adesso
in presenza o
attenzione sociale
all’equilibrio
al tronco vivo, a un
raschio nel motivo

(   )


se il voto sia arnia
soldati a sigillo, a terrore
sospeso su in cima
piombato sul caro


se l’esser-ci covi un
salto
nel cavo del passo


mira e poi spezza
soffice sesso   ,

miri il sereno
colto tutto in seno.

5)
 
Non mi appartiene il cantiere, conforto conforme a normative nel campo nemico, ma attenzione, all’inquieta e irrefrenabile espansione. 
Il luogo di trapasso: nient’altro che una porta, vi si giunga dispersi o finemente lavorati, intagliati. L’ombra ci protende in anse cupe, chili maldestri buttati dentro il mucchio alla rinfusa; da qui, l’arte della mano e della forma a trarne il Vero fiero, il Vero-cavaliere.   
 



lunedì 22 luglio 2013

Sloterdijk, il reazionario. Parte seconda

A mo' di conclusione e completamento dell'intervento precedente, crediamo sia utile analizzare in breve le idee di un altro saggio contenuto nel volume Non siamo ancora stati salvati, intitolato L'offesa delle macchine, per tenere in allenamento i nostri anticorpi.

Il saggio parte tratteggiando mirabilmente la storia del pensiero scientifico occidentale usando categorie mediche: se la salute è considerata dai medici “il successo del sistema immunitario” (e vediamo che la scelta teorica di Sloterdijk, non a caso, ripropone una lettura “difensiva” del successo vitale: vive meglio chi si difende meglio), si potrebbe analogamente pensare alla storia della cultura come “la storia dei ferimenti e della rigenerazione dei sistemi immunitari mentali” (p. 277), secondo il famoso paradigma freudiano della ferita narcisistica che l'illuminismo ha provocato all'uomo, prima con Copernico, poi con Darwin e infine con Freud stesso.

domenica 21 luglio 2013

Sloterdijk, il reazionario. Parte prima

Si tratta di sviluppare gli anticorpi contro Sloterdijk, o meglio, contro le sue idee. Le sue argomentazioni sono solide, convincenti, ben scritte; la sua cultura è vasta, eclettica ma rigorosa, capace di istituire collegamenti fra diverse discipline, collegamenti tanto vertiginosi quanto illuminanti; l'autorità e l'autorevolezza filosofica sono vieppiù consolidate dalla qualità dei suoi lavori.

Ciò nonostante, le sue conclusioni, ovvero il punto d'arrivo e l'intenzione della teoria, sono stonate, sinistre, spiacevolmente distanti dalle premesse iniziali. Quanto più convincenti e ben scritte saranno queste conclusioni, tanto più dovremo esercitare i nostri anticorpi ed essere capaci di proteggere noi stessi.

lunedì 8 luglio 2013

Costruire se stessi. Una riflessione sulle reti sociali a partire da Foucault

Facciamoci tentare da un'analogia. Lasciamo che siano i due termini accostati a chiarirsi l'uno con l'altro: da un lato la riflessione filosofica di Foucault, dall'altro le reti sociali e le comunità digitali. Cerchiamo di capire come il primo termine spieghi il secondo e, viceversa, come il secondo verifichi il primo. La posta in gioco filosofica è la costituzione del soggetto.

Foucault ha dedicato tutta la sua vita allo studio della genealogia del soggetto. Ha smascherato il falso protagonismo della nozione di “soggetto” rivelandoci come esso sia sempre un risultato, un divenuto e mai un punto di partenza, con buona pace degli esistenzialisti e degli umanisti.

Qui l'articolo completo, scritto per il Pequod.

sabato 6 luglio 2013

L'ibridazione delle categorie

La metafisica non è morta, a dispetto di tutte le ingiurie e gli accidenti che le hanno augurato. Non si può fare a meno di usare categorie metafisiche, e questo per una ragione molto semplice: l'uomo è un animale metafisico. Checché ne dicano scientisti, positivisti e scienziati, la metafisica non è il regno dell'errore e della speculazione vuota, né la bestia nera nata dalla soppressione delle regole logiche; più semplicemente essa è la struttura di base che le permette, il “luogo comune” su cui costruire.

Il problema è tale solo se è affrontabile – affrontabile, notare bene, e non risolvibile, e neppure falsificabile – all'interno di categorie metafisiche. Per questo non possiamo fare a meno della metafisica. Per vivere, la metafisica si nutre di opposizioni. Una celebre opposizione del pensiero occidentale descrive un movimento concettuale che ha segnato la nostra storia e la nostra visione delle cose: l'opposizione tra l'ascendere-oltre e il rimanere-dentro.

lunedì 3 giugno 2013

La grande bellezza (solitaria)


La grande bellezza si annuncia già come film simbolo di questi anni. Sorrentino è uno dei pochi registi italiani ancora in grado di scattare istantanee; uno dei pochissimi ad avere il dono della sintesi.

Riunire è una più grande arte, un maggior merito”, scriveva Goethe nelle Affinità elettive, rispetto all'arte dell'analisi che separa e scompone, e continuava: “Un unificatore sarebbe il benvenuto in qualsiasi campo del mondo”. E a maggior ragione nel cinema.

sabato 18 maggio 2013

Teatro delle Albe: una trilogia


A Marco Martinelli e a Ermanna Montanari:
è poco, farò quel che posso

Come si comporta la verità? Svela o ri-vela? Come ci comportiamo di fronte alla verità? Ci scandalizziamo perché finalmente vediamo chiaro, o piuttosto, contemplandola, rischiamo di rimanere abbacinati?

Di solito non si giudica un'opera d'arte secondo le categorie della verità. Arte e verità non abitano lo stesso luogo, e non devono abitarlo: ci insegnano gli antichi che l'arte è rappresentazione, nulla più. Eppure, quando ci troviamo di fronte alle migliori rappresentazioni, spesso capita di venire investiti da una forza che, in un qualche modo, ci cambia, che muta la nostra visione delle cose. A tale categoria di rappresentazioni appartengono i lavori del Teatro delle Albe.

lunedì 15 aprile 2013

D'Holbach, l'apostolo della natura. Seconda parte


"Cercando di costruire un sistema filosofico coerente, d'Holbach finisce per intrecciare ateismo e naturalismo, finendo per deformare il secondo, che viene modellato sulla base di esigenze ateistiche e per indebolire il primo, dal momento che la scienza, per sua natura, si evolve e fa mancare il suo appoggio."

Così si concludeva l'intervento precedente, dedicato a mostrare come legando a doppio filo ateismo e naturalismo, si finisca per indebolire il secondo e deformare il primo. Questo, in buona sostanza, l'errore originario del Barone, destinato ad influenzare negativamente la formulazione di un ateismo filosofico maturo.

Occorre ora sviluppare la tesi e indicare quali altri problemi emergano da questo errore; primo tra tutti, il pericolo di un dogmatismo ateo.

giovedì 4 aprile 2013

D'Holbach, l'apostolo della natura. Prima parte


Il caso di d'Holbach è interessante per chiunque si occupi di ateismo e soprattutto di storia dell'ateismo. Non si tratta di studiare il materialismo ormai obsoleto di un grande intellettuale del Settecento, tutt'altro: si tratta di individuare archeologicamente una discendenza più o meno diretta che imparenti il ricco barone franco-tedesco alle più recenti esperienze italiane della UAAR e mostrarne, allo stesso tempo, la sostanziale identità d'impostazione teorica. Si tratta, in ultima analisi, di ripensare daccapo le basi dell'ateismo filosofico.

Capire il pensiero di d'Holbach, isolarne gli errori scientifici più grossolani, esaminare lo sviluppo delle sue posizioni nel corso degli ultimi tre secoli è di fondamentale importanza per comprendere come e perché l'ateismo filosofico abbia finora mancato di una matura elaborazione intellettuale. L'ateismo filosofico ha avuto, bisogna ammetterlo, cattivi padri fondatori.

domenica 27 gennaio 2013

Sul giorno della memoria


L'esagerazione è uno strumento della dialettica di Adorno. Quando il francofortese dichiarava, sicuro di sé e delle sue teorie, che “scrivere poesie dopo Auschwitz è un atto di barbarie”, le sue parole, lungi da essere una semplice provocazione intellettuale, vanno prese sul serio.

Scrivere poesie, fare cultura dopo Auschwitz, è un “atto di barbarie” perché la cultura ha fallito. Se è stato possibile, in uno dei paesi intellettualmente più progrediti al mondo, eliminare sistematicamente individui come capi di bestiame, allora la cultura non era che spazzatura, macchiata per sempre dal marchio del nazismo. Farla significherebbe rendersi complici della stessa civiltà che ha creato Bach e i campi di sterminio.