Un topo.
Il primo udinese che incontro è molto probabilmente un topo. Se ne sta al fresco della Roggia, sembra quasi ricambiare il mio sguardo stupito.
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La rete di canali interni della città di Udine è molto antica. Risale al periodo medievale: i canali, chiamati rogge (ròe in friulano), furono scavati per l'approvvigionamento idrico, al fine di aiutare lo sviluppo agricolo di un territorio altrimenti arido. Dall'acqua dipendeva il destino non solo economico, ma anche politico della città. Chi controllava le fonti d'acqua controllava il potere.
E non solo. Pranzo in una piccola osteria in via Sarpi, in pieno centro storico. Vado in bagno a lavarmi le mani, m'insapono prima di aprire i rubinetti. Non c'è acqua.
Chiedo alla cameriera spiegazioni. Arrossisce, va in cucina. Mi procura una spugna e uno straccio, “Mi scusi, è che hanno tolto l'acqua, mi sono dimenticata...”
Il vino l'hanno pagato loro: “Mandi, a presto. Mi scusi ancora, mandi.”
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Ne sono rimasti poche, purtroppo; le rogge superstiti scorrono, ora placide e silenziose, ora rapide e gorgoglianti, fino al centro. Lambiscono le strade principali, accompagnano il flusso dei passanti. L'acqua è chiara, limpida, illumina di giorno e riflette di sera.
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Cammino anche io seguendo la Roggia. Percorro via Zanon, vedo trasformarsi le case, riconosco il passaggio della storia attraverso il susseguirsi degli stili architettonici. Dal centro rinascimentale, conservato ottimamente, pulito, bianchissimo, passo al liberty ottocentesco, segno dell'importanza strategica della città.
Poco più avanti le case squadrate e simmetriche annunciano l'arrivo del fascismo. La Roggia scorre sotto il cemento armato dei ponti razionalisti, i riflessi giocano con l'intonaco grezzo delle case. Il contrasto è magnifico.
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Scesa la sera, vado per osterie. A Udine c'è una densità di osterie per metro quadro che ha dell'incredibile. Sono entrato in otto, se ricordo bene, e non ne ho vista una vuota.
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“Chi vale vola, chi non vale non vola. Chi vale e non vola è un vile”: così il nostro Duce.
Sono capitato in un'osteria nostalgica. Leggo con un sorriso i motti appesi ai muri e ordino da bere.
Il padrone non sembra notare l'ironia del contrasto: da una parte la passione per la retorica fascista statalista, dall'altra l'orgoglio campanilistico per la Patria del Friuli. I muri sono raffazzonati con stralci di poesie in dialetto, cimeli e magliette inneggianti all'orgoglio friulano, giusto accanto a foto in bianco e nero e statuette nere simil-ventennio.
Fingo un forte accento romagnolo. Dico di abitare vicino a Predappio.
"Che fortuna che hai! La sua tomba sotto casa. Non sono mai andato, tra lavoro e famiglia, non trovo il tempo."
"Eh già, sono fortunato. Ma sa, vista una volta basta. Sa cosa mi piace di Predappio?"
"Cosa?"
"Le bruschette."
Mi piace molto l'incipit: "Un topo"... mi ricorda "Topos"! Ciù ciù!
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