martedì 22 febbraio 2011

L'arte e il male: estetizzare l'assurdo. Parte Prima.


Tra i grandi poteri dell'artista ve n'è uno – dei più mirabili – che consiste nel riuscire ad estetizzare il reale attraverso l'opera d'arte.

L'esperienza dell'assurdità della vita è parte integrante dell'esistenza umana: e proprio in quanto assurdo il reale può essere estetizzato. 


Dalla meschina banalità della vita quotidiana, che livella le azioni a routine, che reifica l'individuo in un esserci impersonale, levigato “come un ciottolo di fiume”, scrive Kierkegaard, quasi per adattarsi meglio alle contingenze ed essere accettato dalla società, lasciandosi vivere dalla vita; quindi attraverso le incomprensibili ingiustizie che costellano i nostri giorni, come monoliti, come scorie assurde che solo con frustrazione possiamo accettare, senza in fondo potere accettarle in sé: dolori, depressioni, malattie, violenze, solitudini, isolamenti; infine l'esperienza di quello che molti chiamano “male assoluto”, cui il secolo passato offre aberranti esempi, il sacrificio della vittima innocente, lo scandalo iobico del giusto, l'olocausto del fanciullo.

Male è primariamente ciò che non possiamo capire, che rimane fuori dalla portata della nostra ragione, la presenza di un Altro trascendente che abita il mondo e che non possiamo influenzare né cambiare. Male è ciò che rimane senza risposta e, come tale, è stato l'ambito di riflessione privilegiato di religione e filosofia.

Chi pone l'origine del male nell'imperfezione ontologica del mondo; chi ne individua l'origine nell'azione dell'uomo; chi proclama il suo non-essere, l'infondatezza di un sostantivo inventato dall'uomo quale essere limitato, o imperscrutabile volere di un Principio che opera incessantemente per il nostro Bene: da sempre si cerca la soluzione al groviglio del male.

Dobbiamo ammettere la limitatezza delle risposte razionali, sia filosofiche che scientifiche e, d'altra parte, non possiamo accettare i dogmatismi della religione. La via sembra sbarrata, impraticabile in entrambi i sensi.

Sembra che la risposta voglia eludere la domanda: in un caso, eliminando il rischio di un principio assoluto col quale l'uomo non può sperare di competere; nell'altro, al contrario, sussumendo l'esperienza ad un volere più alto, numinoso, facendo leva sulla debolezza dell'intelletto umano.

Crediamo di potere individuare nella capacità di estetizzare il male una delle caratteristiche fondamentali del fenomeno artistico.

Estetizzare significa in primo luogo abbandonare la via della comprensione razionale. Credere che ciò implichi una rinuncia è un grave errore. Lasciare insoddisfatti i richiami della ragione comporta al contrario un grandissimo sforzo, che solo dolorosamente possiamo compiere.

Allo stesso modo, lasciare il porto sicuro di una fede provoca paura e spaesamento, che il fedele non può che considerare con orrore: eppure estetizzare non significa nemmeno consegnare alla certezza fideistica, abbandonarsi all'Altro che nell'Oltre ordina e orienta.

Estetizzare è un attività puramente umana: sotto questo aspetto si avvicina alla comprensione razionale; allo stesso tempo è un attività che non può utilizzare gli strumenti della ragione, che deve essere limitata, sia per comprendere appieno il fenomeno estetico, sia per riuscire a crearlo.

Avvicinarsi all'uomo, alla sua esperienza, senza la pretesa di spiegarla, senza la fede in un suo senso, abbracciando completamente il fenomeno nella sua assurdità. “Bisogna avere ancora un caos dentro di sé per partorire una stella danzante” insegna Zarathustra.

Così l'artista partorisce la sua opera non solo accettando il caos che alberga dentro di sé e nel mondo, ma addirittura piegando quell'assurdo ai suoi scopi.

Non cerca di nasconderlo attraverso assiomi, postulati, proposizioni, formule, corollari, dottrine, dogmi: lo usa, brutalmente, con violenza, con dolore (con-pathos, si dovrebbe dire, se Kundera non ci avesse mostrato quanto falsa risuoni purtroppo questa parola nelle nostre lingue romanze).

L'arte diventa l'obiettivo attraverso cui guardare il mondo e registrarne l'esperienza, senza dargli una sistemazione pretenziosa, ma facendo passare l'assurdo dentro di sé, manipolandolo con la proprie mani, guardandolo con i propri occhi, cantandolo con la propria voce.

Estetizzare per umanizzare, per avvicinare il male agli uomini, mostrare loro la sua esistenza, ed infine lenirlo.

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