martedì 25 dicembre 2012

Cattedra e dialogo


Si dice che una sola immagine, quando ben organizzata, valga più di mille parole; e se per la pittura contemporanea questo detto non vale più, in quanto si dipinge soprattutto per evitare la parola, per rifugiarsi nell'indicibile, nel nostro caso questi due affreschi, compiuti nello stesso torno di tempo da due maestri dell'Umanesimo italiano, valgono quanto un trattato filosofico sulla differenza fra dialogo e cattedra.

A chi volesse capire qualcosa della differenza fra due concezioni speculari della conoscenza e della trasmissione del sapere, una derivante dalla filosofia e l'altra dalla teologia, senza però faticare su testi e saggi tradizionali, consiglierei di osservare con attenzione queste due composizioni – perché esse contengono il segreto della sintesi e della leggibilità.

domenica 9 dicembre 2012

Una volta



Lo prese per il braccio. Lo teneva stretto, ché non se ne andasse da solo, attento però a non fargli male con le vecchie mani callose, come quando si cattura una lucertola. Non ce ne sarebbe stato bisogno: il bambino lo seguiva fiducioso, cogli occhi spalancati, attento a non inciampare sulle buche del sentiero. Vedi qui, diceva il vecchio, dove la terra si fa più bassa?, e il bambino annuiva in silenzio, meravigliato. Ecco, proprio in questo punto, una volta c'era il vecchio supermercato. Avresti dovuto vedere che roba!

domenica 25 novembre 2012

In fase di caricamento


È un serpente circolare, l'eterno ritorno che non si decide ad andare. Si mangia incessantemente la coda tratteggiata, si crea e si distrugge nel non-senso del tempo. Minuto dopo minuto si muove, eppure rimane fermo! e si muove e rimane fermo. La stasi in movimento del caricamento, dell'attesa all'azione, alla resa, all'evento, allo svolgimento del tempo. Il gomitolo s'attorciglia, o' gliommero, dobbiamo attendere lo sciogliersi del dramma, la spada che recida i vincoli del serpentello, che lo liberi per sempre, distruggendolo, dal suo tragico destino all'in-azione.

sabato 27 ottobre 2012

Considerazioni attorno a "Funes, el memorioso" di Borges


Molto è stato detto circa le prodigiose qualità di Ireneo Funes, personaggio uscito dalla penna di Borges. Si tratta del protagonista del brevissimo racconto pubblicato nel 1944, all'interno della raccolta che segna il vertice dell'opera dell'argentino, le Ficciones – racconto nato probabilmente come divertissement: lo stesso autore ci suggerisce, nella prefazione alla seconda parte dell'opera, Artificios, di leggerlo semplicemente come “metàfora del insomnio” - tema, quello dell'insonnia, spesso frequentato nelle sue pagine.

Eppure, come accade a tutti classici, il racconto ha fatto pensare, ed ha preso un'altra strada. Il personaggio ha acquisito una profondità imprevista, sganciandosi dalle intenzioni allegoriche originarie per diventare secondo alcuni emblema e anticipazione della memoria digitale, della memoria infinita o, ancora meglio, dell'incapacità di dimenticare.

giovedì 25 ottobre 2012

Il giudizio estetico nella scienza antica e moderna


Rendo disponibile sul blog, nella sezione Lavori, la tesi scritta nei caldi mesi estivi di questo anno. Si tratta di un lavoro ibrido, tra l'estetica e la filosofia della scienza, nel quale si sostiene l'ipotesi che anche la scienza (come in quasi tutte le attività umane, del resto) sia e sia stata sensibilmente influenzata da considerazioni circa la bellezza e l'ordine razionale della natura, sebbene molti scientisti sostengano l'esatto opposto: la scienza è sempre pura, basata su un assoluto empirismo, e la soggettività dello scienziato non conta minimamente ai fini del suo lavoro. 


domenica 9 settembre 2012

Lago di Molveno


non bruciare adesso



Sacro cesio
ansia a bordo
alto
declama:

– cala fiato
sentimento
carne tolta ai tabernacoli

chi. perenne
o fragile, o cauto
denuda
la spada?

di re, padre
sgravi il fondo
d’acqua,
dai figli.

chiami te.
ceda l’oro di vino.
nutra il lago
con krill fresco di corrente. 



Molveno, 6 settembre 2012

mercoledì 29 agosto 2012

Monti della Sibilla


sotto Forca Viola



Sgrana gioie in
dettagli
maestri /

centro o pastore,
bianchi di
fonte, istrici-dive

acqua fonda
su noi
fuoco, polo

///

flette lo slargo
riappende,
sono lo scasso
la spinta
la stanza

sono la lenza.










sabato 11 agosto 2012

L'altra romagna. Risposta a Elia.

[Rispondo con una vecchia poesia alla precedente poesia di Elia. L'idea è quella di delineare una geografia personale, un buon localismo, attraverso l'esercizio della parola poetica. Versi nati per caso, dalla noia. Il treno si era bloccato per ore, a causa di non so quali problemi, nel mezzo del niente, in piena campagna romagnola.]


Provo ancora meraviglia, l'ammetto.
Poso il libro e guardo fuori: attorno
indaffarati passeggeri senza

nome. Indifferenti al mistero
d'una rinascita tacita e lieve -
sono i peschi in fiore, e i mandorli.

Un pulviscolo rosa o innevato,
gocce casuali di nuovo colore:
ecco ciò che stordisce il mio sguardo.

Lontani nel turchese gli Appennini:
ma qui non v'è quel movimento. Solo
un ampio respiro di pianura

e logici filari allineati.
Provo ancora meraviglia, l'ammetto:
nessuna mente divina potrebbe

ambire a tale bellezza. Lascio
voi ai vostri impegni. Guardo
altrove. Silenzioso sono e assente.

E se anche fosse soltanto finzione,
nulla più di un attimo ubriaco,
sarebbe il reale ad aver torto –

e varrebbe la pena di restare
bocca aperta davanti all'illusione.



mercoledì 8 agosto 2012

L'altra romagna


S. Salvatore in Summano


Ecco il nome che si staglia sotto apre
gli occhi appoggiati agli sguardi, solco
vuoto che attraversa, l’ombra del dio asciutta farsi
protesa

tutto recasse una firma, l’ombra
di una sola scrittura franante sotto

gelasse, gelasse il cuore dei sassi
aprisse una strada rovina
facesse a noi aria, cascasse la pietra
rovina detriti macerie

cielo. un largo imbuto d’aria tutto sopra
sopra il cotto sopra la roverella
sopra il sopra dell’altare sopra il
tutto

lontananza. che forse non vorremmo
ma ci è data nel respiro, raggrumata
nello sputo infilato a forza dentro
tutto

giove. plutoni. calore sotterraneo della terra
ombre lisce nelle pietre del regno
corone e monili e monete, il tesoro il
tutto

eccoci perduti in povertà e malattie
lasciata la catena inchiodata alla cima
del sasso più antico che gli anni possano
coi denti erodere e addormentare

in quale sonno?

e i sogni che un punteruolo scava nel naufragio
della veggenza

e i nidi di rondine e le ceneri sotto la crosta
quale sonno quale sonno

la venuta della fiamma, un sole piccolo
la natura della valle
la natura della luce appena
appena, una screpolatura.  

giovedì 5 luglio 2012

Intervista a Gian Franco Andraghetti


[Gian Franco Andraghetti ha pubblicato da non troppo tempo due libri destinati a rimanere dei modelli imprescindibili per la produzione storico-topografica della città di Ravenna: Aquae condunt urbes (Media News, 2007) e Odo nomi far festa (Edizioni Moderna, 2010).
Grazie al suo lavoro decennale, possiamo percorrere con queste pagine la storia della città, leggendola attraverso le sue strade, i corsi abbandonati dei suoi fiumi, gli aneddoti sconosciuti sui suoi palazzi.
È da più di un anno che leggo e rileggo queste piccole enciclopedie e ancora non esauriscono il loro fascino. Mi sono deciso a parlarne con l'autore, finalmente: a casa sua, davanti ad una mappa spiegata della città.]

Tutte le volte che passo per il nuovo ponte sopraelevato rischio un incidente perché mi viene da voltarmi a guardare verso la città e i suoi campanili: quello di San Giovanni Evangelista, e poco più avanti quello di Santa Maria in Porto. Penso sempre a come doveva essere per un viaggiatore antico arrivare a Ravenna dal mare, percorrere i suoi corsi d'acqua o per il cittadino seguire la curva del Montone subito fuori le sue mura.

domenica 1 luglio 2012

Il centounesimo intervento

[Per festeggiare il traguardo, un ringraziamento a tutti i lettori.]

Posò il bicchiere di vino sul tavolo, l'alcool gli era già salito alla testa. La conversazione si faceva concitata, scacciò la ragazza seduta sulle sue gambe, si sporse verso di me perché la voce non si perdesse nel rumore dell'osteria. Non so come finimmo a parlare di dio, di religione - successe e basta. Sembrava fuori di sé: nervoso, eloquio interrotto, bestemmie. Solo ad un certo punto, e con una certa sua soddisfazione, il ragionamento si fece più chiaro e disteso. 

lunedì 25 giugno 2012

Sul non-finito. Ultima parte.

Parte ultima. Umanismo e anti-umanismo in una teoria estetica del non-finito. 

Bisogna sottolineare che, in questo discorso, non rientra lo studio della cause del non-finito, quanto piuttosto quello dei suoi effetti. Le esperienze estetiche che scatena sono infatti indipendenti dalla sua origine. Per questo il Cenacolo – che il tempo ha reso non-finito – è, in linea teorica, assimilabile ad uno dei tanti Prigioni di Michelangelo, nati incompiuti. Non si fa differenza tra volontà (o meglio, mancanza di volontà) dell'artista ed effetto casuale del tempo.

Si è detto che il non-finito raggruppa attorno a sé tante esperienze estetiche diverse: fascinazione e ammaliamento – altri direbbero “rêverie”; senso di perdita e rottura simmetrica dell'armonia; fastidiosa sensazione di perdita irreparabile; forse l'intuizione della sublimità del tempo.

Potremmo quasi azzardare una definizione: il non-finito è il contrario dell'opera classicamente intesa. Laddove un'opera d'arte si dice classica quando è perfettamente compiuta in sé stessa, equilibrata e proporzionata, nel senso più alto “finita” (e pensiamo al particolare valore che, nel mondo greco antico, il termine “limite” assumeva), il non-finito è l'opera che rompe l'armonia, la simmetrica perfezione di forme e di lettura, e diviene aperta, illimitata allo sguardo dell'interprete.

domenica 24 giugno 2012

Sul non-finito. Il non-finito e la sprezzatura.


Parte terza. Il non-finito come eliminazione della sprezzatura. 

Altra ipotesi potrebbe essere quella che tenta di spiegare l'esteticità del non-finito misurandone la vicinanza all'intenzione dell'artista. Ovvero: non potrebbe forse essere che il non-finito sia così affascinante proprio perché, attraverso il progetto artistico che ancora emerge dai bozzetti e dagli accenni, siamo come avvicinati alle intenzioni dell'artista?

Si potrebbe paragonare l'opera completa al paesaggio che s'espande dal belvedere, la bellezza che emerge per la completezza del colpo d'occhio, per l'armonia dell'insieme; il non-finito sarebbe in questo caso la carta topografica, che rivela altitudini e depressioni, toponomastiche ed orografia.

sabato 23 giugno 2012

Sul non-finito. Contro la teoria dell'apertura ermeneutica.


Seconda parte. Contro la teoria dell'apertura ermeneutica.

Un elenco da solo non basta per rendere ragioni del fenomeno: ci dà l'idea, alquanto confusa, della sua importanza, ma ancora non siamo stati capaci di approfondire. 

Perché e cosa rende affascinante questi esempi di non-finito? C'è un fenomeno estetico comune alla loro base?

Non convince molto l'ipotesi più frequentata dai critici d'arte, nonché la più immediata: l'ipotesi dell'apertura ermeneutica. Il non-finito, grazie alla sua indeterminatezza, riuscirebbe più dell'opera completa ad ammaliarne l'interprete, poiché è sempre possibile darne una lettura diversa.

venerdì 22 giugno 2012

Sul non-finito. Un elenco incompleto


Parte prima. Un elenco incompleto. 

La domanda è delineata: che cosa ci attira in un'opera non-finita? Cosa la rende affascinante e perché? Quale categoria estetica può spiegare questo fenomeno?

Poiché è indubbio che il non-finito riesca spesso ad ammaliare il suo interprete più dell'opera compiuta. Sono troppi – e troppo famosi – gli esempi di questo tipo per continuare a pensare che sia soltanto un caso, una qualità legata semplicemente al genio dell'artista. Ed è curioso notare che malgrado la forza espressiva di molti lavori non-finiti, i maggiori teorici d'estetica non abbiano approfondito l'argomento più dello stretto necessario.

giovedì 14 giugno 2012

Il non-finito in Leonardo


Novello Hermes”, “divin Prometeo”: questi gli epiteti più ricorrenti tra i biografi antichi dell'artista di Vinci. Un Leonardo ambiguo, maestro dei segreti naturali; un mago eretico; una creatura a contatto con le superne sfere celesti; o anche un Leonardo che vede il futuro, lo anticipa nel sapere e nelle tecniche; che indaga la natura con tutto se stesso anche a costo della più desolante solitudine per il bene del genere umano.

Invece di rifiutare l'avvicinamento alla divinità in nome di un'impossibile verità storica, sarebbe forse più adatto cercare in un altro personaggio del pantheon antico i caratteri autentici di Leonardo. Si tratta di Proteo, la divinità sempre cangiante, sfuggente, irriducibile ad ogni descrizione.

Leonardo è infatti un groviglio di credenze; e come il dio greco, prende la forma più consona allo spirito dell'osservatore, si piega secondo fini e voleri, cambia in continuazione pensiero e qualità. Si perde nella nebbia fitta della più pura mitografia.

Nessuno potrà mai penetrare del tutto questo spirito; certamente, ci si potrà avvicinare sempre meglio al dato storico, con sempre maggiore distacco critico; ma l'ambiguità del carattere, la confusione del pensiero vinciano, l'eredità e l'influenza che dobbiamo ai suoi più prossimi biografi non ci abbandoneranno mai del tutto.

È con questo approccio, consapevole dei propri limiti e quindi pluralista, che vogliamo qui analizzare un aspetto preciso dell'opera di Leonardo, che ritorna più volte in ogni documento e in ogni descrizione storica: il non-finito.



venerdì 11 maggio 2012

L'ultima

Qui trovate l'ultima serendipica sul blog attornoalfuoco, ma forse no. Forse ne verranno pubblicate altre. Oppure no. State incerti che sarà così.

martedì 8 maggio 2012

Artemisia e le ceneri

Perchè, se avesse ragione Freud, ma non ce l'ha, anche i cristiani, che si mangiano il loro dio e lo ricordano ogni giorno, e non riescono proprio a dimenticare questo morto, anche loro soffrirebbero di qualcosa, e, forse, Freud la chiamerebbe coazione a ripetere, forse, o chissà che diavolo. 
 
Un po' come se Artemisia fosse costretta a bere le ceneri del marito ogni santo giorno, poveretta. Proprio lei, che strano, che dà il nome alla pianta d'assenzio. E di solito, si beve per dimenticare.

venerdì 27 aprile 2012

Alla mostra


L'aria seria e contrita – è tutto così importante – dicono cose strane con nomi lunghi e fanno gesti innaturali – sorrisi ironici di noia “guarda questo qui, patetico, ripetitivo, vecchio” – qualche bambino che corre è l'elemento più sincero del quadro, i genitori dicono “sta fermo, Francesco, vieni qui”, senza nemmeno guardare il Francesco, che adesso gattona sotto le sedie – le opere sono su poveri tavoletti di legno, senza spiegazioni, come spuntati dal nulla – noia incredibile le solite facce - “quanto me lo fai questo libro?” “per te, per te posso fare un'eccezione” “no, non fare, non sentirti in dovere, siamo qui per questo, no?” 

lunedì 16 aprile 2012

De myopia


Molti sono gli svantaggi del miope: mancata distinzione dei visi e conseguente rischio di non rispondere al saluto; perdita dell'uscita in autostrada perché la segnaletica è confusa; condanna ai banchi più vicini alla lavagna; non godere delle stelle; nascondere gli occhi dietro a vetri, spesso sporchi.

Secondo alcuni, tuttavia, non mancherebbe qualche vantaggio: migliore comprensione dell'arte astratta; propensione a non fidarsi dei sensi; attitudine ad una epistemologia creativa; interesse al nunc, e soprattutto all'hic; uscire dalle risse indenne; una discreta aura di sapienza; godere delle cose da vicino.

lunedì 9 aprile 2012

Galileo, Paolini e la commedia dell'arte


[Una recensione sbilenca a ITIS Galileo di Marco Paolini, andato in scena il 24 marzo 2012 al Teatro Ermete Novelli di Rimini.]

C'è stato un momento, durante lo spettacolo di Paolini, in cui mi è venuta la voglia di alzarmi dal posto per correre sul palco ed abbracciarlo.

Con una maschera sul viso, Paolini da voce a Salviati, il personaggio del galileiano Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632), portavoce delle teorie copernicane, nonché camuffamento dello stesso autore. La già spuria dizione di Paolini abbandona l'italiano per abbracciare il ben più duttile dialetto veneto; i gesti si fanno plateali; i ragionamenti più intricati; ed ecco il miracolo.

venerdì 6 aprile 2012

Urli


Cioran scrive che siamo tutti malati e che ad ognuno di noi servirebbero un Sahara per urlarvi a volontà, o le rive di un mare elegiaco e impetuoso per mescolare ai suoi lamenti sfrenati i nostri più sfrenati ancora. 

martedì 3 aprile 2012

L'ingegnere va a teatro


[Qualche pensiero confuso e annodato attorno al monologo di Gifuni e Bertolucci L'ingegner Gadda va alla guerra, andato in scena il 2 aprile 2012 a Ravenna, Teatro Alighieri.]

Per tutto lo spettacolo ci si chiede: ma chi è che parla? Quale strano groviglio di personaggi sta interpretando Gifuni? 
 
Adesso è chiaramente il volontario Gadda interventista che si lamenta degli stivali dell'esercito italiano, in un milanese comico e asimmetrico. Adesso invece pare un inetto Amleto balbettante e mammone, afflitto da un'insicurezza atavica, che piange la morte del fratello aviatore. Poi ecco cambiare nuovamente le timbriche e l'accento: si tratta di De Madrigal, scrittore fiorentino duecentesco trapiantato nell'Italia fascista che si lancia in latrati vituperosi contro il regime e Mussolini.

venerdì 30 marzo 2012

Come la testa di un pesce

"E a volte riaffiora come la testa di un pesce
il ricordo dell'anima che un tempo
ci guidò fra spettri stellati."


Riaffiora come la testa di un pesce dice un poeta che conosco è il Mistero a riaffiorare proprio quando le parole sembrano esser diventate più chiare, è vero, lo dice un poeta che conosco perché è così che quando più le cose sembran semplici e più ti sei immerso nello studio è allora che senti qualcosa che manca che sfugge che stanca che si potrebbe chiamare caos penso o caso – basta retrocedere la esse e spingere avanti la o – o assurdo anche, e invece il poeta che conosco ha scelto di chiamare il mistero di chiamarlo l'ha chiamato il riaffiorare della testa di un pesce e allora ditemi voi ditemi se avete mai visto un pesce riaffiorare con la testa o sennò parlatemi del mistero, vi prego.

venerdì 23 marzo 2012

Linguaggi, scritture, parole


Un linguaggio d'alta montagna, rarefatto, lieve e nitido. Niente che sbavi o disturbi, ogni parola pulita, ogni frase ben calibrata. Da scrivere col martello sul marmo, definitivamente: parole che si fanno geologia, reticoli cristallini immutabili.

giovedì 15 marzo 2012

L'uomo che voleva essere coerente a tutti i costi

 
Me lo chiedeva sempre, Sai che fine ha fatto l'uomo che voleva essere coerente a tutti i costi, mi diceva; e mi guardava con uno sguardo strano, indagatore, come per sapere se capivo davvero quello che mi voleva dire.
Io stavo al gioco. No, non lo so, rispondevo, che fine ha fatto? E allora s'illuminava in un gran sorriso e la risposta, come la domanda, era sempre la stessa: Ha finito per mangiarsi, pezzo a pezzo. Ecco che fine ha fatto l'uomo che voleva essere coerente a tutti costi.
Non gli chiesi mai il significato della storiella, ma mi è rimasta dentro. Non è mai più uscita, come certi brutti pensieri che ti prendono sempre quando guardi un carro funebre.

lunedì 12 marzo 2012

Lavori in corso


Le dame di Monte Sassone



Il tempo sfilacciato di una vita

ché nulla può farci l’ago

ha avuto forse pietà di noi

delle case abbandonate quando

il passo del giaguaro

seminava grida pari

al crollo delle terre

sotto il bacio dell’aratro


quando il seme inselvatichiva

e la mala pianta taceva

i segreti andati in fiamme


quando gonfie nubi ferrose

s’alzavano sulle rovine

e i custodi di sale ricolme

di bronzi e di giade

lasciavano che il filo delle lame

si dipanasse ai loro piedi


quando

quando


quando


*

e a fare come il cavaliere,

che all’ago preferì i telai d’oro

delle dame di monte Sassone


- si badi alla luce delle vesti

come un tempio il cui marmo

sia inciso nel fuoco di costellazioni

ma spolpando il frutto della luce

il succo ripugna

come un porcaro

vestito da signore –


e il cui corpo sbriciolato

fu gettato dalla furia del serpente

giù nell’ombra della terra

fino a fare minerale del pensiero,


noi cosa perderemmo

e cosa avremmo al sicuro ora

che il secco si beve tutto

che i lembi del lago hanno branchie

da cui svapora l’oro dei campi?



Da I Santuari



Dormivano tutti. Nel buio del formicaio s’aprivano uova, larve bianche cadevano sulla sabbia bianca. La terra, giù in fondo, era tutta pietra e putridume, il cielo pesava quintali.

Si fece il profilo, poi la forma si raccolse tutta in una sete. L’alba venne bianca in un ronzio. Fu come aprire il reame dell’oro, lasciare la chiave agli stormi, credere che un solo respiro destasse i sogni dalle acque.


Il mistero che il mondo ha fatto concreto (sentire: respiro che apre le cellule, beve la nostra fame e si attacca alla luce in fondo alle vene) si rovescia, ruote all’aria, immerso dentro il fango.

Allora, diremo che il tempo ci ha portato via tutto, la strada, gli ulivi, le nuvole che s’ammassavano, i monti scagliati da un fulmine vile. E i germogli, che forano l’aria minerale spessa centimetri.


Credo al burro, quando scioglie e spande dappertutto l’odore morbido che prende le ore per la coda. Chiedo se l’odore andrà mai via, perché aleggia come voce, e so quanto mi sia caro, ma poi penso che la stella che apre il mattino un giorno brillerà come fosse luce cava e tutto il minerale sarà vetro sparpagliato senza voce, senza piante, senza un passo e allora passa

l’odore del burro.

venerdì 9 marzo 2012

Dietro al bancone


Dietro al bancone di un pub, dietro alla birra – piccola? - media - bionda? - rossa, dietro agli occhi della barista, dietro alle tette della barista, ecco un bel posto dove pensare. Più protetti di così, penso. Guardo i cimeli appesi ai muri: qualche foto, qualche poster di film vecchi, visi di attrici del passato, macchine d'epoca.

martedì 28 febbraio 2012

Ichtus, pesci e turisti


Gesù cristo figlio di dio salvatore, voleva dire Ichtus – un po' come i patrioti italiani scrivevano Viva Verdi sui muri per omaggiare segretamente Vittorio Emanuele Re d'Italia – e che mi prenda questo ichtus, se nella chiesa di San Francesco che parlava agli animali, là sotto l'abside, nella cripta, dove la storia incrocia la storia e la datazione si fa complessa, mi prenda al volo se quelli non sono proprio due pesci rossi, due ichtus rossi.

Metto la monetina e fiat lux, 50 centesimi per illuminare una piscina sacra – come se non arrivassero a pagare le bollette, loro! – i mosaici incomprensibili si mettono a tremolare sotto l'acqua limipida e pesci, pesci rossi e pesci bianchi che mi vengono in contro, boccheggiano e a fianco a me boccheggia il turista, tirchio, non ha voluto metterci i soldi e adesso ne approfitta per meravigliarsi.

Che gli prenda un colpo se quelli non sono due ichtus, che gli boccheggiano davanti – ma c'è l'acqua? Ci sono i pesci? mi chiede, sporgendo la testa. Sì, sì, è tutto vero, qua c'è l'acqua e i pesci ma non spandiamo la voce, non vorrei che c'aprissero una pescheria, visti i tempi di crisi - e di mercanti, in chiesa, bastano quelli che chiedono i soldi per l'ichtus.

sabato 25 febbraio 2012

Qualche pensiero sul postmodernismo. Parte seconda.



Abbiamo analizzato il pensiero di Simon Reynolds riguardo alla retromania, idea che interessa il campo della musica popolare quanto quello della moda e dell'arte contemporanea.

La paralisi creativa che investe questi campi sarebbe misurabile dall'emergere di nuovi fenomeni quali revival e stili musicali sincretisti o “archivistici”; paralisi in parte originata dalla rivoluzionaria pervasività della documentazione digitale.

venerdì 24 febbraio 2012

Zeusi e l'inganno

Si dice che Zeusi avesse raggiunto tale maestria nella sua arte che dipingendo un grappolo d'uva su un muro, gli uccellini si scheggiarono il becco per riuscire a mangiarne i chicchi. L'abilità dell'artista si misurava con l'inganno, suscitando ammirazione infinita sugli ingannati. 
 

venerdì 10 febbraio 2012

Attorno a "boh!"


Un'oasi d'insicurezza, una bolla di mistero. Bisogna studiare le leggi meccaniche che regolano l'uso di questo Verbo mistico, scoprirne la dinamica interna. Quanto più la domanda si fa pressante, tanto più la risposta si corazza, s'appesantisce, s'impantana. Poi lo scatto, la redenzione, la sublimazione nell'oscura deissi gutturale: boh.


giovedì 9 febbraio 2012

Qualche pensiero sul postmodernismo. Parte prima.


Tra le varie immagini dell'ultimo film di Sorrentino, This must be the place, ce n'è una che, a distanza di ormai qualche mese, ricordiamo di una rara forza espressiva. Il rocker fallito, simbolo dell'immobilismo musicale degli ultimi anni, maschera di se stesso, è alla ricerca dell'aguzzino nazista del padre. Riesce a rintracciarlo, ormai più che ottuagenario, dentro un caravan, solo nel bel mezzo della Siberia.

Faccia a faccia con l'orrore, Cheyenne porta la mano alla tasca; ci aspettiamo che tiri fuori un'arma, per farla finita col passato e completare una volta per tutte la vendetta. Ma ecco che invece dalla tasca emerge una macchina fotografica, l'avvicina al viso del gerarca, e il flash fa le veci dello sparo. Un passato immortalato per sempre dal semplice gesto del rocker, invece di essere distrutto come merita.

domenica 5 febbraio 2012

La serendipica scartata #2

Spalare la neve

È da un po' di tempo, non troppo a dire la verità, che gira per la Rete una foto interessante quanto provocante: un gruppo di baldanzosi giovani armati di vanghe, sorridenti dietro la bandiera del loro partito, in una tenera fotoricordo prima dell'immane travaglio. Chilometri quadrati da spalare, bianco ghiaccio siberiano crepamani – e questi magnifici aitanti volontari pronti a sacrificarsi per la cittadinanza, in nome della politica attiva. Ce n'è abbastanza per far piangere vedove, altroché.


Chissà, chissà se fosse stata merda, penso, chissà se ci sarebbero andati lo stesso a spalare. Ma non solo i chilometri quadrati di loro cugina-camerata-alla-lontana Piazza Kennedy, no: voglio più romanticismo, più azione. Spalare tutta la merda che il loro partito mi ha fatto ingoiare a forza, nei salotti televisivi, nei culi danzanti, nelle barzelette, nelle canzoncielle napulitane, dietro le risate di Mamma Europa. Solo, mi dico, non saprebbero dove metterla tutta quella merda, tanta ne hanno fatta. E già le discariche son piene.

venerdì 3 febbraio 2012

Adriatico femmina, adriatico tenue


Adriatico femmina, adriatico tenue, ho pensato, adriatico pavido che non sa d'esser mare, adriatico acquarello, adriatico indeciso, che non prende ma regala. Mo guarda, lascia che la terra gli porti via la luce!, ho pensato – che razza di vile d'un mare. Per il molo lungo passeggio e questo mare calmo e verde mi ruzzola in testa s'appiccica ad aggettivi.

venerdì 27 gennaio 2012

Per una dietetica della mente


C'è una dietetica del corpo – quella scienza inesattissima che ci dice quali parti del mondo ingerire e quali no per star bene, per non sovraccaricare il fegato o per piacere agli altri – e c'è, o meglio, sarebbe bello ci fosse, anche una dietetica della mente, inesatta anche questa, ma non poi molto più della prima – dietetica della mente che la ripulisca dalle scorie, dai residui di cattive letture, dagli abusi e che la purifichi purgandola. 

giovedì 26 gennaio 2012

Crainz e il partitismo. Pensieri attorno a "Il paese mancato"




"Questo popolo di santi, di poeti, di navigatori, di nipoti e di cognati..."

Ennio Flaiano, Diario Notturno, 1951


Si ha come l'impressione che qualsiasi analisi storica, politica o sociologica sugli ultimi cinquant'anni del nostro paese, quale che sia la sua tesi o la sua posizione, non possa fare a meno di includere la riflessione di Pasolini.  
È un'impressione inquietante: la lucidità di Pasolini, da bussola sembra quasi diventare percorso obbligato, necessario – e non si capisce se la colpa sia nostra, della nostra mancanza di acume, oppure sia della storia che non vuole passare. È come se questo paese non voglia o non possa cambiare.
Questo almeno suggerisce la lettura di un libro fondamentale, Il paese mancato di Guido Crainz (Donzelli editore, Roma, 2003): dopo avere attraversato i fatti, le voci, la cultura italiana dal 1962 al 1992, l'ultimo capitolo (intitolato “La catastrofe”) si chiude così:

È forse necessario chiedersi se in questo percorso il Palazzo e parti significative del paese non si siano in realtà avvicinate, con quei tratti che Pasolini aveva delineato: lo spregio delle regole, il crescente disinteresse per i valori collettivi, un privilegiamento dell'affermazione individuale e di un gruppo che considera le norme un impaccio (e tratta chi le difende come un nemico da sconfiggere o da corrompere).”

martedì 24 gennaio 2012

La serendipica scartata #1

Ci dovrebbero scrivere una poesia.


Ci dovrebbero scrivere una poesia, ho pensato sul balcone – e giù la gente che passava – una poesia che parli soltanto dei fazzoletti che portano le vecchiette per coprirsi i capelli.

Una bella poesia che parli di quei triangoli di stoffa colorati, che sanno di oriente e di campagna, di pudore e di vanità, lievi come le loro fantasie e grevi come il tempo che indicano. Scriverci una poesia, pensavo, perché sono la prova che si può invecchiare anche a colori.
 

venerdì 20 gennaio 2012

Il sogno di Hume


È proprio in quello stadio del dormiveglia – qualcuno lo chiama ipnagogico per darsi delle arie – quando il cervello vaga a briglie sciolte appena prima di addormentarsi, è allora che ci vengono le idee migliori.

venerdì 6 gennaio 2012

Serendipiche attorno al fuoco

Col nuovo anno, oltre alla grafica rinnovata, per la quale ringrazio Nicola Varesco, inizio una collaborazione con attornoalfuoco - un blog collettivo curato da tre concittadini.

La rubrica si chiama Serendipiche, si tratta di prose sconclusionate e rapsodiche, nate per caso. Si parla di serendipità, ad esempio, quando cercando l'ago nel pagliaio, ci trovi invece, dentro il pagliaio, la figlia del contadino.

Qui, il link alla prima di queste prose, Arrivare al punto.