venerdì 22 giugno 2012

Sul non-finito. Un elenco incompleto


Parte prima. Un elenco incompleto. 

La domanda è delineata: che cosa ci attira in un'opera non-finita? Cosa la rende affascinante e perché? Quale categoria estetica può spiegare questo fenomeno?

Poiché è indubbio che il non-finito riesca spesso ad ammaliare il suo interprete più dell'opera compiuta. Sono troppi – e troppo famosi – gli esempi di questo tipo per continuare a pensare che sia soltanto un caso, una qualità legata semplicemente al genio dell'artista. Ed è curioso notare che malgrado la forza espressiva di molti lavori non-finiti, i maggiori teorici d'estetica non abbiano approfondito l'argomento più dello stretto necessario.


Mi viene subito in mente l'inspiegabile Sinfonia n. 8 di Schubert, forse l'esempio di non-finito musicale più famoso della storia assieme al Requiem di Mozart. Ma se l'incompiutezza di quest'ultimo è dovuta, come tutti sanno, alla morte del suo compositore, nessuno ancora è riuscito a spiegarsi perché Schubert non abbia potuto (o voluto) completare quello che, molto probabilmente, avrebbe costituito il capolavoro della sua vita.
Perché la Sinfonia n. 8 è la testimonianza musicale non solo del genio di Schubert, quanto piuttosto dello spirito di quei tempi: la prima grande attestazione del romanticismo nascente, l'apertura di una nuova epoca artistica.

Altra grande opera non-finita del primissimo periodo romantico è il misterioso poemetto di Coleridge, Kubla Khan, versi imbevuti di orientalismo e maledizione molto prima che entrambi questi elementi rifluissero nella poetica francese “maledetta” di moda a fine secolo. Una visione oppiacea di un grandioso poema epico moderno, affacciatosi alla mente di Coleridge già completo; visione infranta per sempre dall'intrusione di uno sconosciuto – l'ormai proverbiale Person from Porlock – che distoglie il poeta dall'opera e dilegua ogni ricordo preciso del sogno. Così scrive Coleridge nel 1816, quando il frammento fu pubblicato per la prima volta:

At this moment he was unfortunately called out by a person on business from Porlock, and detained by him above an hour, and on his return to his room, found, to his now small surprise and mortification, that though he still retained some vague and dim recollection of the general purport of the vision, yet, with the exception of some eight or ten scattered lines and images, all the rest had passed away like the images on the surface of a stream into which a stone had been cast (...)”

La quotidianità che interrompe l'attività creativa, lasciando solo qualche accenno confuso della grandezza di una visione per sempre perduta. Accenni che si ritrovano, quasi allo stesso onirico modo, nell'espressionismo violento e abbozzato della Quinta del Sordo, le visioni notturne che Goya dipingeva sulle pareti di una delle sue camere.

Sembra quasi che si vogliano mantenere in vita gli incubi silenziosi e confusi fatti di notte, pitturando selvaggiamente sulle pareti, quando ancora il ricordo del sogno è fresco; e popolarne i muri di esseri terribili, a volte appena tratteggiati: caproni, vecchi, lottatori, cani, sabba stregoneschi, giganti... Gli incubi d'un epoca intera si avvicendano tra queste quattro mura. Non a caso, questo ciclo di opere venne chiamato Pinturas Negras: e per le scale cromatiche e per i soggetti. 

C'è da distinguere, in questo caso: si può parlare di non-finito goyesco solo per quanto riguarda lo stile pittorico – i quadri in sé sono infatti “ultimati” nelle intenzioni dell'autore – stile composto da tratti violenti e sommari, che il pittore spagnolo poté permettersi proprio per il carattere personale delle opere stesse. Paradossalmente, il finito per Goya si rovescia in non-finito per il suo interprete, che può solo intuire le forme, chiare nella mente del pittore.

L'esempio per eccellenza è il Perro Semihundido: tale è l'informità del tratto, la prevalenza del colore puro, che ogni significato, ogni interpretazione si perde nella pura congettura, creando lo stesso effetto dell'opera non-finita. E, ancora una volta, precursione, anticipo: nato dalle visioni della Quinta del Sordo, nella cattolicissima Spagna, ci vorrà ancora un secolo perché la potenza dell'espressionismo inventato da Goya possa vitalizzare l'algida pittura mitteleuropea.

Di italiani avevamo già parlato nell'ultimo intervento [vedi intervento precedente, dedicato al non-finito in Leonardo], segnalando quanta e quale parte abbia il non-finito nei lavori dei due giganti dell'Umanesimo, Leonardo – Battaglia di Anghiari, Cavallo Sforzesco, Cenacolo, e l'enorme messe di schizzi e appunti dei suoi manoscritti – e Michelangelo – la speculare Battaglia di Cascina, i Prigioni, le Pietà Rondanini e Bandini.
In entrambi il non-finito sembra quasi diventare una tecnica, applicata sistematicamente in più e più opere: le speculazioni sulle ragioni di tale scelta abbondano, e qui non abbiamo tempo di approfondirle.

Non-finito, quello italiano, che ricompare violentemente nelle lettere del nostro classicissimo paese grazie al lavoro visionario e, si potrebbe forse dire, europeo, di Dino Campana.

Ancora non sappiamo se sia stata la pazzia del poeta romagnolo a condannare per sempre i suoi Canti Orfici all'incompiutezza, o piuttosto sia stata colpa del suo talento ondivago, da alcuni critici sempre violentemente rinnegato – in primis da Papini, che, assieme al suo compare Soffici, riuscirà a perdere la prima preziosissima stesura di un'opera destinata a restare nella storia del Novecento italiano: Il più lungo giorno, cambiato nel titolo definitivo solo più tardi.

Con Campana siamo sempre nel territorio della confusione: e per quanto riguarda la sua poetica, e per quanto riguarda la sua biografia. È fin troppo facile innalzare erroneamente la sua statura al mito, ma sempre più spesso la moda in ambito critico sembra essere diventata piuttosto la tendenza a sminuirne l'importanza. In media stat virtus, come si dice.
Una cosa è certa: se l'importanza di un autore, come non credo, è da misurarsi davvero nella sua fortuna, Campana si potrebbe tranquillamente relegare tra i poeti di secondo ordine. Pochi sono stati i successori capaci di emularne la forza e le intuizioni. Campana è il tipo di poeti che nascono e muoiono da soli; e più del citatissimo e scontato Rimbaud, a me ricorda Hölderlin. [Un Hölderlin più sgangherato, sgrammaticato, provinciale, lontano dalle finezze teologiche del seminario di Tubinga, e molto più vicino alle prostitute genovesi, senza alcun disprezzo per queste ultime – anzi, con vivi ringraziamenti.]

Ma torniamo al non-finito. È certo che i Canti Orfici posseggano le qualità proprie del non-finito: continuano ad essere letti, generazione dopo generazione; rimangono inspiegabili e inspiegati – anche considerando il retroterra geografico e culturale della loro provenienza – stupiscono, infastidiscono e affascinano sempre l'interprete.

L'elenco potrebbe continuare ancora a lungo: il De Rerum Natura, che si esaurisce bruscamente con la terrifica visione della peste di Atene, potrebbe costituire il nostro aggancio con l'antichità; e, saltando alquanto irrazionalmente, il celebre Petrolio di Pasolini, sarebbe il riscontro più che moderno del fascino che continua ad esercitare, anche oggi, il non-finito sui suoi interpreti (e davvero, basterebbe raccogliere i fiumi di pagine che sono stati scritti riguardo l'opera incompleta dello scrittore friulano per rendersene conto).

1 commento:

  1. Gigi Meroni un genio nel calcio e nella vita. Come il suo gol all'Inter, con un pallonetto, mentre retrocedeva dalla porta avversaria. Quando andava a spasso con una gallina al guinzaglio, quando si fingeva giornalista e chiedeva alla gente che cosa pensasse di Gigi Meroni, lui che si disegnava i suoi vestiti originali da solo, e che come pittore, non finì mai il ritratto della sua amata Cristiana, non riuscendo a fargli gli occhi. Ma il "non finito" è la caratteristica del genio, come si è manifestato anche in Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti. A volte anche la vita è un "non finito". Cfr. ebook (amazon) di Ravecca Massimo. Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie,

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