sabato 27 ottobre 2012

Considerazioni attorno a "Funes, el memorioso" di Borges


Molto è stato detto circa le prodigiose qualità di Ireneo Funes, personaggio uscito dalla penna di Borges. Si tratta del protagonista del brevissimo racconto pubblicato nel 1944, all'interno della raccolta che segna il vertice dell'opera dell'argentino, le Ficciones – racconto nato probabilmente come divertissement: lo stesso autore ci suggerisce, nella prefazione alla seconda parte dell'opera, Artificios, di leggerlo semplicemente come “metàfora del insomnio” - tema, quello dell'insonnia, spesso frequentato nelle sue pagine.

Eppure, come accade a tutti classici, il racconto ha fatto pensare, ed ha preso un'altra strada. Il personaggio ha acquisito una profondità imprevista, sganciandosi dalle intenzioni allegoriche originarie per diventare secondo alcuni emblema e anticipazione della memoria digitale, della memoria infinita o, ancora meglio, dell'incapacità di dimenticare.


Ho spesso letto definizione della Rete quali “discarica di memoria” (Borges utilizza l'espressione “vaciadero de basuras”), come incontrollato accumulo di informazioni che finiscono, a causa di una mancanza di filtri adeguati, per inibire la nostra capacità di riflessione. Anacronismi a parte, si tratta adesso di capire meglio il Funes borgesiano, e di “far la critica” delle sue facoltà.

Nel racconto di Borges il personaggio e le sue qualità rimangono stranamente confuse, vuoi per la brevità del testo, vuoi per la forma narrativa scelta. Nella finzione letteraria, infatti, la voce narrante s'impegna a riportare la sua testimonianza su Funes, ormai defunto, in occasione della pubblicazione di un volume che si va preparando in sua memoria o, più probabilmente, quale frammento di studio scientifico delle sue facoltà sovrumane.

Il racconto nasce quindi, come si può intuire da questi intrecci di ricordi e testimonianze di seconda mano, sotto il segno della memoria – di una memoria rielaborata dal tempo – così come ci indica il titolo stesso Funes el memorioso. Borges già da subito allontana il fantasma dell'insonnia, falsa pista, per introdurre il tema portante, ovvero l'analisi di una facoltà mnemonica fuori dall'ordinario.

Come accade spesso nei racconti di Borges, la narrazione si sviluppa da un'idea originaria, spesso filosofica, come ad esempio un paradosso; quindi la elabora quanto possibile e ne trae le estreme conseguenze logiche e narrative. Celebre, ad esempio, il caso de La Biblioteca de Babel, in cui in gioco vi è l'idea del libro infinito; oppure in Pierre Menard, autor del Quijote, dove si consumano le possibilità di ogni ermeneutica. Nel caso di Funes, al centro del racconto vi è il tema della memoria potenziata.

La storia del protagonista è semplice: a seguito di un incidente, Funes rimane paralizzato ma acquisisce una memoria prodigiosa.

[Anche qui, tuttavia, sorge qualche dubbio. Durante il primo incontro della voce narrante con Funes, incontro che si svolge in un tempo anteriore all'incidente menzionato, Funes sembra già possedere almeno una speciale facoltà: sa sempre che ore sono; viene addirittura definito “cronomètrico”. Quanta parte abbia avuto l'incidente a cavallo nello sviluppo mostruoso della sua memoria, rimane questione inevasa.]

Prodigiosa: cosa significa questo aggettivo, e in che modo la sua facoltà mnemonica è stata deformata a seguito dell'incidente? Il personaggio ci viene presentato caratterizzato dalle tipiche qualità del monstrum, dello scherzo di natura: introverso, enigmatico, solitario, taciturno, rapito dai particolari più infimi che gli stanno attorno.

Borges sembra alludere a una qualche forma di autismo, descrivendoci quello che potremmo forse definire idiot savant: si parla di “balbuciente grandeza” riguardo ad alcuni suoi fantasiosi progetti di mnemotecnica; poco più sotto si dice che “era casi incapaz de ideas generales, platònicas”. Incapacità di concepire pensieri generali, ma non solo. La ricchezza di particolari che affligge la sua memoria lo rende incapace di dormire (ed è questo l'unico indizio che giustifica l'accenno della prefazione) e forse anche di pensare normalmente:

Sospecho, sin embargo que no era muy capaz de pensar. Pensar es olvidar diferencias, es generalizar, abstraer. En el abarrotado mundo de Funes no habìa sino detalles, casi inmediatos.”

Un mondo “sovraccarico” di dettagli, quello di Funes: un mondo in cui non c'è spazio per il pensiero perché pensare è astrarre; così come egli fatica a dormire perché dormire significa “distraerse del mundo”, riuscire a dimenticarlo. Non a caso, il racconto si apre con il bellissimo particolare della “pasionaria” nelle sue mani; la passiflora è il fiore curativo dell'insonnia, un sedativo del sistema nervoso.

Queste definizioni borgesiane del pensiero e del sonno permettono di capire meglio quale sia la reale peculiarità della memoria di Funes. Egli ricorda tutto alla perfezione, ma ciò non giustifica né la sua insonnia, né la sua incapacità all'astrazione. Nella sua mente, come su una lastra fotografica, si imprimono alla perfezione i particolari di una vita: è capace di ricordare con sicurezza “las formas de las nubes australes del amanecer del treinta de abril de mil ochiocientos ochenta y dos”; ma come si spiega la sua incapacità di pensare lucidamente?

Una memoria così infallibile non dovrebbe compromettere il pensiero: anzi, dovrebbe potenziarlo. Ognuno di noi porta con sé, nella sua memoria a lungo termine, informazioni di un passato remoto, che non si cancelleranno mai: non saranno tante quante quelle di Funes, ma sono sicuramente più di quanto possiamo immaginare. Come mai allora riusciamo a pensare e ad astrarre senza fatica? Perché non soffriamo d'insonnia come invece soffre Funes? Abbiamo sicuramente molti ricordi, magari non così precisi, ma possiamo accantonarli e pensare logicamente.

Il problema non è legato alla sua capacità di ricordare; piuttosto alla sua capacità di dimenticare. Non è la profondità della sua memoria il problema, né la sua estensione: è la sua vivacità, la sua presenza. Funes non riesce a “staccarsi” dai suoi ricordi, che continuano ad agire nella sua mente come se fossero percezioni sensoriali. Funes non riesce a pensare perché è disturbato dai canti di tutti i bambini che sono passati fuori dalla sua finestra: canti che continuano ad echeggiare nella sua mente in un frastuono mostruoso, caotica sommatoria di tutti i suoni che ha sentito durante la sua esistenza.

Come se si fosse reso conto del non sequitur del suo racconto, ovvero che l'estensione quasi infinita della memoria non pregiudica le facoltà intellettive, Borges prima della conclusione inserisce un inciso tra parentesi, quasi fosse un'informazione scontata:

Repito que el menos importante de sus recuerdos era màs minucioso y màs vivo que nuestra percepciòn de un goce fìsico o de un tormento fìsico.”

La patologia di Funes, se tale si può chiamare, è quindi legata alla vivacità dei suoi ricordi, alla incapacità di dimenticarli e richiamarli alla memoria quando servono: restano, presenze inquietanti come Erinni, nei suoi circuiti cerebrali e gli impediscono la riflessione.

Ma, a questo punto, se ci pensiamo bene, all'economia del racconto non serve che Funes abbia una memoria prodigiosa e infallibile. Alla metafora dell'insonnia non serve una memoria mostruosa: basterebbe una memoria limitata ma dolorosamente viva. Se per assurdo non avessimo che un pensiero, vivo come “la percezione di un tormento fisico” e non potessimo dimenticare nemmeno per un attimo che “1+1=2”, ebbene, allo stesso modo saremmo incapaci di riflessione lucida; di idee platoniche, per dirla come Borges.

Funes non soffre per l'estensione della sua memoria; la causa della sua insonnia non è una memoria infallibile. La sua patologia è dovuta ad una memoria epidermica, ovvero, ad una facoltà mnemonica che rimane viva e presente quanto una percezione sensoriale, che non riesce a “scolorirsi” nel tempo. Per dirla con Hume, in Funes cade la distinzione tra impressioni (prime percezioni sensoriali “forti e vivaci”) e idee (immagini illanguiditi delle impressioni).

Per il povero Funes tutto, ricordo e percezione, è ugualmente vivo e presente, in un frastuono cui il free jazz di Coleman potrebbe efficacemente essere metafora o esempio. Funes non riesce ad accantonare i ricordi, non può servirsene come facciamo noi: in sintesi, non è padrone della propria memoria.

Viene a cadere così l'analogia rigida tra memoria digitale e memoria di Funes: nella Rete, così come nel cervello di Funes, ogni impressione lascia traccia indelebile, ogni gesto viene registrato e conservato; tuttavia, l'accesso a questa memoria infallibile è libero: se non vogliamo usufruirne, siamo padroni di non farlo, a differenza dell'onnipresente frastuono del passato nella mente di Funes.

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