Lo
prese per il braccio. Lo teneva stretto, ché non se ne andasse da
solo, attento però a non fargli male con le vecchie mani callose,
come quando si cattura una lucertola. Non ce ne sarebbe stato
bisogno: il bambino lo seguiva fiducioso, cogli occhi spalancati,
attento a non inciampare sulle buche del sentiero. Vedi qui, diceva
il vecchio, dove la terra si fa più bassa?, e il bambino annuiva in
silenzio, meravigliato. Ecco, proprio in questo punto, una volta
c'era il vecchio supermercato. Avresti dovuto vedere che roba!
Il
bambino non capiva, Supermercato?, chiese. Il vecchio sorrise, come
si sorride ai fanciulli, Sì, era il posto dove si comprava il
mangiare, sempre pieno di cose, pane, carne, latte... Là in fondo, la
strada si apriva in una grande piazza. Era la piazza principale.
Adesso non rimane più niente. Da un parte c'era il caffè,
dall'altra le poste e il municipio. Qui arrivavano tutte le strade,
non si contavano le persone, tutte indaffarate, sempre di fretta. Ecco,
lì in basso, lo vedi quel buco pieno di rovi? Lì, bravo, nero che
non si vede il fondo: quella era l'entrata della metropolitana. La si
usava per – non importa, non importa, andiamo avanti, non ti avvicinare.
I
due proseguivano tra le sterpaglie. Il vecchio teneva stretto di sé
il bambino, attento che non si ferisse il viso con le spine. Faceva
freddo, un freddo di solitudine. Ti avevo promesso di farti vedere la
stazione, ricordi? Sì, la stazione!, sorrise il bambino, Il posto
dei treni! Sì, il posto dei treni, come dici tu: eccola. La vedi là
in fondo? Da un lato, la vecchia entrata. Ci sono ancora i basamenti
in marmo, nascosti tra quei cespugli, tutti anneriti. Una volta erano
bianchi come la neve. Dall'altra, là a sinistra, c'erano le
banchine. Sotto le banchine, i binari. I treni si muovevano lungo i
binari. Se siamo fortunati ne rimane ancora qualcuno sotto la terra.
Lo
scheletro della stazione era un rebus di macerie. Solo la memoria del
vecchio riusciva ancora a risolverlo, seppur a fatica, confrontando i
ricordi slavati dal tempo con le forme disordinate delle macerie attorno a
loro. Eccoci arrivati ai binari, disse il vecchio, e si chinò per
terra a fatica. Con le mani smosse la fradicia terra nera davanti a
lui. Il bambino lo imitò, accovacciandosi a terra e aiutando come
meglio poteva. Qui non c'è più niente, sospirò il vecchio, Forse, però, là in fondo...
Un segmento di binario rugginoso emerse come un tesoro. Il bambino spalancò gli
occhi. Era paralizzato dal timore, preso dalla meraviglia per quel
residuo di passato proprio come, a loro tempo, gli esploratori
rimasero in silenzio religioso davanti alla tacita sommità della
piramide, seminascosta nella sabbia. Quella che si apriva sotto i
suoi occhi era la testimonianza della verità dei racconti dei
vecchi, era il vertiginoso particolare che schiudeva un universo
ormai tramontato.
Attorno
a loro il vento fischiava, spazzando la pianura di bianco. Non
un'anima attorno per chilometri. Il sole cominciava a declinare.
Andiamo, dobbiamo tornare prima che faccia buio, comandò il vecchio.
Non c'è poi molto altro da vedere. Il bambino, ancora carponi, lo
guardò. E i treni, chiese, i treni dove sono andati? I treni non lo
so dove sono andati. Non so più nulla. Dove sono andate le case, le
strade, i lampioni, i negozi, le chiese – nessuno lo sa. Sono
passate, come tutto. Una volta qua era tutta città, prima ancora che tu nascessi. Tutto qui.
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