Si
racconta che Dino Campana, prima di vendere i suoi Canti Orfici,
fosse solito squadrare attentamente l'acquirente di turno alla
ricerca di particolari fisiognomici rivelatori della sua preparazione
poetica. Chi passava l'esame con successo, “lo spirito poetico
puro”, si vedeva consegnare il libretto intero, tuttalpiù privo qua e
là di qualche pagina; ai malcapitati, invece, spesso non restavano
che due o tre poesie – e delle meno riuscite. Effe Ti Marinetti,
“lo schiaffo ed il pugno”, si dovette accontentare della sola
copertina. Non è forse un diritto del poeta quello di difendersi
dagli occhi degli imbecilli?
E
non esiste forse un diritto speculare del lettore in difesa della sua
intelligenza? Grato davanti ai migliori, spietato contro i mediocri,
radicale nei confronti dei peggiori. Si tratta di strappare tante
pagine quante parole sgraziate vengono quotidianamente pubblicate;
stralciare senza falso rimorso le frasi insincere; dilaniare le coste del libro ebete e
vuoto. E in fondo, non significa forse, già questo, coltivare il
gusto? Non è già un esercitarsi per disimparare ad accontentarsi?
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