sabato 2 ottobre 2010

Tensione al mito, o Io mitico

[Per ogni sorta di chiarimento sul progetto generale rimando al primitivo abbozzo dello schema così come lo scrisse Iacopo più di tre mesi fa e alla sua compiuta e più recente presentazione.
Come già ripetuto, state per leggere una traccia teorica, senza pretese di esaustività. Se lo trovate eccessivamente complesso, saltatelo.]


Gli interventi precedenti hanno analizzato i tre stadi necessari alla causazione artistica, ovvero i processi legati alla creazione di un’opera d’arte: principio del discrimine o Io* distaccato, in cui il soggetto, o motore artistico, si distacca dalla società di provenienza per fondare o riappropriarsi di una voce strettamente personale; Dialogo e Epoché della Tradizione o Io dialogante, in cui il soggetto, reso indipendente dal suo allontanamento, instaura un dialogo propositivo con una Tradizione artistica a lui precedente o contemporanea; il nodo o Io legato, in cui l’individuo, maturato attraverso il distacco e il dialogo con la Tradizione, torna alla società da lui precedentemente abbandonata, intesa qui come soggetto fruitore dell’opera d’arte (a questo proposito si riveda la definizione di “bifrontismo artistico”).

[* La doppia denominazione intende sottolineare l’importanza dell’individualità in ogni fase creativa (causazione) e nelle due finalità artistiche; non si dimentichi, di conseguenza, il ruolo centrale giocato dall’aspetto biografico in un’opera d’arte.]

L’analisi razionale del processo creativo deve, a questo punto, tenere conto della differenza che corre tra causazione e finalità artistica; entrambe vanno a comporre quel processo unico (l’arte) che si svolge su un piano pratico, caratterizzato da un preciso “hic et nunc” riguardante di volta in volta il distacco, il dialogo, ecc. e, contemporaneamente*, su un piano ideologico, e che mira, in ogni sua particolare determinazione, a un obiettivo fondamentale (la creazione di un mito) e al soddisfacimento di una necessità biologica (il desiderio di memoria fedele**).

[* Il fatto che si arrivi solo ora ad analizzare le finalità artistiche è fuorviante e non deve indurre al pensiero che l’aspetto finalistico si attui solo a causazione conclusa; in realtà, il desiderio della creazione del mito e quello di memoria fedele accompagna l’Io artistico in ogni frase e parola, in ogni pennellata, in ogni nota e scalpellata. L’analisi così condotta vuole solo esemplificare separando atto e finalità, ma si tenga conto della compresenza costante di questi aspetti.]

[** Per non complicare le cose, in questa sede approfondiremo solo l’aspetto mitico del fare artistico, rimandando ad un secondo momento la spiegazione riguardante l’aggettivo “fedele” associato a “memoria”.]

Se la causazione spiega le condizioni necessarie alla costruzione del “corpo” artistico, la duplice finalità costituisce l’”anima” di tale corpo, indicando l’interesse che sta dietro all’atto pratico, la sua essenza più vera: la ricerca di un senso che sappia ricondurre all’unità (ecco un termine sulla cui importanza i critici di ogni tempo hanno speso migliaia e migliaia di parole) i sentimenti contrastanti dell’Io riguardo alla vita, che sappia contenere la dispersione del reale in un corpo circolare e perfettamente coerente*.

[* La circolarità e di conseguenza la perfetta coerenza sono però un’utopia.]

Tale senso, o desiderio di unità, si cerca sul piano biologico del desiderio di memoria e su quello più strettamente artistico della creazione, o meglio costruzione, di un mito, che si potrebbe raffigurare a livello geometrico come una circonferenza; tutti i punti del cerchio devono coerentemente rifarsi al centro (l’Io artistico, o divino, in questo caso), che è sorgente di ogni raggio e anche fine di ogni punto, che ad esso deve per necessità tornare*.

[* L’uso del termine “necessità” ha una precisa giustificazione: così come nella sfera religiosa ogni cosa è creata per necessità da un’entità necessaria (Dio), così è nella sfera artistica; si è parlato di arte come di una necessità profonda che plasma la materia in un modo necessario, che “non può essere altrimenti”. L’artista è quindi il Dio della propria opera. Si potrebbe parlare di una sorta di Teologia artistica. L’aspetto demiurgico dell’artista è già stato affrontato, per esempio, dal Tasso nei suoi “Discorsi sull’Arte poetica”; non si aggiunge pertanto nulla di nuovo rispetto a quanto già detto in passato.]

Tale forma specifica del mito artistico risponde alla volontà di costruire un corpo che rifletta la circolarità degli eventi cosmici (si pensi al succedersi delle stagioni, al ciclo vita – morte, al giorno e alla notte, ecc.) e che si riveli, al contempo, incorruttibile, proprio perché conchiuso in un guscio* capace di superare le barriere del tempo e dello spazio e di tendere a quella Tradizione da cui ogni artista deve attingere per potersi definire tale.

[* E’ interessante notare come la tensione costante ad una forma chiusa sia la ragione essenziale dell’emozione umana di fronte all’opera d’arte. L’opera artistica rappresenta la tentata realizzazione di questo luogo compiuto, un tentativo tipicamente umano poiché è proprio l’uomo l’unico essere capace di definirsi nella sua finitudine formale; per dirla seguendo la metafisica indù, l’uomo, in quanto relatività, è “qualificato” (in sanscrito, saguna) e “concepito distintivamente” (savishesha) mentre Brahma, il principio supremo a cui si rifà la metafisica pura, è “non qualificato” (nirguna) e “al di là di tutte le distinzioni” (nirvishesha). La non-forma, la non-definizione è quindi un attributo divino e l’essere umano, per questo, si emoziona nel riconoscere i chiari confini di un’opera che sappia raccogliere la sua essenza, che, ricordiamolo, è in parte definibile (e quindi conoscibile) nel corpo e in parte astratta, tendente a Dio, e quindi inconoscibile. La forma artistica è quindi la sintesi, in quanto simbolica, del corpo e dell’anima umana, rappresentazione geometrica di un mistero in costante nascondimento. Ricapitolando: l’uomo si emoziona di fronte alla forma poiché è la forma l’oggetto primo della conoscenza umana.]

L’arte si può quindi intendere come il tentativo di chiusura di un cerchio, una linea curvata che sappia conciliare gli opposti e “redimerli” in un hortus conclusus riparato dalle offese esterne e insieme aperto al confronto con un pubblico dialogante.

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