domenica 1 luglio 2012

Il centounesimo intervento

[Per festeggiare il traguardo, un ringraziamento a tutti i lettori.]

Posò il bicchiere di vino sul tavolo, l'alcool gli era già salito alla testa. La conversazione si faceva concitata, scacciò la ragazza seduta sulle sue gambe, si sporse verso di me perché la voce non si perdesse nel rumore dell'osteria. Non so come finimmo a parlare di dio, di religione - successe e basta. Sembrava fuori di sé: nervoso, eloquio interrotto, bestemmie. Solo ad un certo punto, e con una certa sua soddisfazione, il ragionamento si fece più chiaro e disteso. 

Facciamo una scommessa, mi disse, in ambito spirituale le scommesse sembrano andare di moda, quasi che la fede potesse sostenersi su una scommessa logica. Ebbene, facciamola anche noi una scommessa. Io non so se Dio esiste: i miei sensi e la mia mente non permettono di decidere sulla questione. Non so neppure quale fede sia la vera fede, tutte mi ripugnano allo stesso grado: vivere la vita da fedele significa sempre rinunciare a qualcosa, e la vita è troppo breve per poter rinunciare ad alcunché. Quindi vivrò come meglio credo.
Se dio esiste e sarò stato giusto, egli mi salverà, poiché non ho agito diversamente da suo figlio. Se sarò stato ingiusto o Dio mi salverà, poiché una punizione eterna è un'idea estranea alla sua stessa essenza, o mi donerà un'altra vita, affinché io possa rimediare ai miei peccati – e non posso pensare ad un dono più grande di questo: rivivere.
Se dio non esiste, e avrò vissuto bene, saranno la vita stessa e il fugace ricordo di me a ricompensarmi; se dio non esiste e avrò vissuto male, posso solo sperare che altri non se ne accorga; e alla peggio, verrà la morte a liberarmi.
In tutti i casi, non ho bisogno d'altro che d'un corpo e d'una mente per vivere bene: la fede è di troppo e, nel migliore dei casi, inutile. Scommetto questo: comunque io viva, c'è modo di scamparla.

Detto questo si versò un bicchiere e richiamò la giovane ragazza indispettita, facendomi cenno di andare. 

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