[Qualche pensiero confuso e annodato attorno al monologo di Gifuni e Bertolucci L'ingegner Gadda va alla guerra, andato in scena il 2 aprile 2012 a Ravenna, Teatro Alighieri.]
Per
tutto lo spettacolo ci si chiede: ma chi è che parla? Quale strano
groviglio di personaggi sta interpretando Gifuni?
Adesso
è chiaramente il volontario Gadda interventista che si lamenta degli
stivali dell'esercito italiano, in un milanese comico e asimmetrico.
Adesso invece pare un inetto Amleto balbettante e mammone, afflitto
da un'insicurezza atavica, che piange la morte del fratello aviatore.
Poi ecco cambiare nuovamente le timbriche e l'accento: si tratta di
De Madrigal, scrittore fiorentino duecentesco trapiantato nell'Italia
fascista che si lancia in latrati vituperosi contro il regime e
Mussolini.
È
vero, con un po' d'attenzione si distinguono le opere e le voci: lo
spettacolo inizia con ampi stralci del Giornale
di guerra e di prigionia,
prosegue con echi de La
cognizione del dolore
(il Pirobutirro del sottotitolo si rifà al cognome del personaggio
principale, Gonzalo, una sorta di alter ego di Gadda filtrato da
letture shakespereane) per poi infine concludersi con le amare accuse
di Eros e Priapo.
Ma
l'unico vero protagonista dello spettacolo non è Gadda: è la lingua
di Gadda. Non si ritrova il contegno timido dell'ingegnere nei balzi
e negli urli dell'istrionico Gifuni. Piuttosto, il merito dell'attore
romano è stato quello di impersonare e dar corpo all'esplosione
interiore del suo italiano, alle sue pirotecniche scelte lessicali,
ai virtuosismi stilistici, alla caustica ironia, ai ghiribizzi
dialettali.
Non
è vero che, come invece scrive Arrigoni, viene “sciolta
la lingua di Gadda”: l'unico modo di rispettare Gadda, di non
tradirlo, è di lasciare il nodo così com'è, senza mettervi mano.
Sciogliere la lingua di Gadda significherebbe ridurla ad un piatto e
quanto insipido elenco di stranezze, tecnicismi e neologismi; sarebbe
come disarmare l'ingegnere, renderlo muto. Il grande merito dello
spettacolo è appunto quello di avere rispettato la lingua gaddiana
che sì, è difficile, è contorta, è spesso puro stile: ma non è
in fondo questa la lingua che meglio ha descritto – e continua a
descrivere – il nostro paese?
L'unica
scelta che si possa criticare sinceramente è l'accostamento indebito
– per quanto comico ed attuale – che viene fatto tra Mussolini e
Berlusconi. Una strizzata continua d'occhio col pubblico, come a
dire: “Hai capito di chi si parla? Eh? Hai visto che la storia si
ripete?” Credo che, al di là delle esigenze teatrali e di quelle
morali (le uniche che possano giustificare questa scelta: tenere
sveglio il pubblico e moralizzarlo) non sia stata un'idea felice, per
due semplici ragioni: Berlusconi non si merita una critica scritta da
lingua tanto alta né Gadda un soggetto tanto basso.
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