martedì 3 aprile 2012

L'ingegnere va a teatro


[Qualche pensiero confuso e annodato attorno al monologo di Gifuni e Bertolucci L'ingegner Gadda va alla guerra, andato in scena il 2 aprile 2012 a Ravenna, Teatro Alighieri.]

Per tutto lo spettacolo ci si chiede: ma chi è che parla? Quale strano groviglio di personaggi sta interpretando Gifuni? 
 
Adesso è chiaramente il volontario Gadda interventista che si lamenta degli stivali dell'esercito italiano, in un milanese comico e asimmetrico. Adesso invece pare un inetto Amleto balbettante e mammone, afflitto da un'insicurezza atavica, che piange la morte del fratello aviatore. Poi ecco cambiare nuovamente le timbriche e l'accento: si tratta di De Madrigal, scrittore fiorentino duecentesco trapiantato nell'Italia fascista che si lancia in latrati vituperosi contro il regime e Mussolini.



È vero, con un po' d'attenzione si distinguono le opere e le voci: lo spettacolo inizia con ampi stralci del Giornale di guerra e di prigionia, prosegue con echi de La cognizione del dolore (il Pirobutirro del sottotitolo si rifà al cognome del personaggio principale, Gonzalo, una sorta di alter ego di Gadda filtrato da letture shakespereane) per poi infine concludersi con le amare accuse di Eros e Priapo. 
 
Ma l'unico vero protagonista dello spettacolo non è Gadda: è la lingua di Gadda. Non si ritrova il contegno timido dell'ingegnere nei balzi e negli urli dell'istrionico Gifuni. Piuttosto, il merito dell'attore romano è stato quello di impersonare e dar corpo all'esplosione interiore del suo italiano, alle sue pirotecniche scelte lessicali, ai virtuosismi stilistici, alla caustica ironia, ai ghiribizzi dialettali. 
 
Non è vero che, come invece scrive Arrigoni, viene “sciolta la lingua di Gadda”: l'unico modo di rispettare Gadda, di non tradirlo, è di lasciare il nodo così com'è, senza mettervi mano. Sciogliere la lingua di Gadda significherebbe ridurla ad un piatto e quanto insipido elenco di stranezze, tecnicismi e neologismi; sarebbe come disarmare l'ingegnere, renderlo muto. Il grande merito dello spettacolo è appunto quello di avere rispettato la lingua gaddiana che sì, è difficile, è contorta, è spesso puro stile: ma non è in fondo questa la lingua che meglio ha descritto – e continua a descrivere – il nostro paese?

L'unica scelta che si possa criticare sinceramente è l'accostamento indebito – per quanto comico ed attuale – che viene fatto tra Mussolini e Berlusconi. Una strizzata continua d'occhio col pubblico, come a dire: “Hai capito di chi si parla? Eh? Hai visto che la storia si ripete?” Credo che, al di là delle esigenze teatrali e di quelle morali (le uniche che possano giustificare questa scelta: tenere sveglio il pubblico e moralizzarlo) non sia stata un'idea felice, per due semplici ragioni: Berlusconi non si merita una critica scritta da lingua tanto alta né Gadda un soggetto tanto basso.

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