Si
tratta di sviluppare gli anticorpi contro Sloterdijk, o meglio,
contro le sue idee. Le sue argomentazioni sono solide, convincenti,
ben scritte; la sua cultura è vasta, eclettica ma rigorosa, capace
di istituire collegamenti fra diverse discipline, collegamenti tanto
vertiginosi quanto illuminanti; l'autorità e l'autorevolezza
filosofica sono vieppiù consolidate dalla qualità dei suoi lavori.
Ciò
nonostante, le sue conclusioni, ovvero il punto d'arrivo e
l'intenzione della teoria, sono stonate, sinistre, spiacevolmente
distanti dalle premesse iniziali. Quanto più convincenti e ben
scritte saranno queste conclusioni, tanto più dovremo esercitare i
nostri anticorpi ed essere capaci di proteggere noi stessi.
È
noto come il miglior anticorpo teorico a nostra disposizione sia il
dubbio. Per prima cosa, dunque, dubitiamo sempre di tutto, senza
eccezioni. (Non proprio di tutto, ché lo spazio ci mancherebbe.
Prenderemo in considerazione solo quei nodi che ci hanno più
disturbato).
Prendiamo
il famoso saggio di Sloterdijk, che risale ormai a una ventina di
anni fa, intitolato Regole per il parco umano, raccolto in
Germania nel 2001 (e in Italia tre anni dopo, dalla casa editrice
Bompiani) in un volume che richiama apertamente l'eredità
heideggeriana dell'autore: Non siamo ancora stati salvati
(titolo originale, Nicht gerettet).
Peter Sloterdijk |
In
Regole per il parco umano
Sloterdijk istituisce un collegamento teorico insolito, accostando
due concetti a prima vista molto lontani tra loro: umanismo e
addomesticamento. L'umanismo non è stato semplicemente un movimento
culturale, nato in un determinato periodo storico in una determinata
regione del mondo; l'umanismo è un progetto trans-temporale e
trans-nazionale di addomesticamento degli istinti bruti dell'umano.
Siamo umanisti quando crediamo nel
potere di domesticazione degli scritti e del pensiero. Siamo umanisti
quando ci affidiamo alle lettere e alla cultura per assopire le
tendenze bestiali e ferine, eredità della nostra origine animale;
sicché una società sarà tanto più “evoluta” quanto più
“umanista”. Come scrive Sloterdijk:
L'umanismo ha sempre un punto di riferimento polemico: esso è l'engagement per recuperare l'uomo dalla barbarie (…) Al Credo dell'umanismo appartiene la convinzione che gli uomini siano animali influenzabili e che perciò sia indispensabile sottoporli al giusto tipo di influenze (…) L'etichetta umanismo ricorda, con falsa ingenuità, la continua battaglia per l'uomo, che si compie nella lotta tra le tendenze all'abbrutimento e quelle all'addomesticamento. (...) Umanità consiste nello scegliere i media addomesticanti per lo sviluppo della propria natura, e nel rinunciare ai media disinibenti. [p 244-245 ed. italiana]
Le
humanae litterae come
auto-domesticazione dell'uomo, dunque, parte essenziale del progetto
“umano” proprio perché creanti
l'umano in quanto tale: quello addomesticato, civile, educato alla
mansuetudine. L'uomo è l'animale capace di fare promesse, come
scriveva Nietzsche nella Genealogia della morale,
educato a farlo da media
addomesticanti, quali la cultura umanistica classica, letta e
scritta.
Ma siamo sicuri che l'umanismo serva
soltanto a questo? Siamo davvero sicuri che il suo progetto sia
quello di addomesticare l'uomo, rendendolo sì civile, ma anche più
facilmente controllabile e mansueto? E soprattutto, è possibile per
l'uomo un'auto-domesticazione?
Pensiamo in chiave storica, alziamo lo
sguardo. La scrittura, o in generale la cultura umanista, ha
effettivamente migliorato l'uomo? Sono state capaci di renderlo
“mansueto”, o domestico, come sostiene Sloterdijk?
Le
cosiddette "religioni del libro", ad esempio, le culture addomesticanti
per antonomasia, se da una parte sono state senza dubbio un tassello
determinante per la crescita spirituale dell'uomo, dall'altra hanno
sicuramente contribuito ad aumentare la sua componente barbarica. Si
avrebbe così il caso paradossale di un media
scritto che è, nello stesso tempo, sia addomesticante sia inibente,
per utilizzare il lessico del nostro tedesco.
Similmente, nella storia umana sono
spesso comparse idee filosofiche (o scientifiche) esplosive, che
hanno sì aumentato la nostra “civiltà” (se per civiltà
intendiamo anche il grado di conoscenza del mondo, nonché la nostra
capacità di manipolarlo) ma hanno anche causato molteplici processi
degenerativi: il materialismo storico di Marx, ad esempio,
con buona pace del suo ideatore; o ancora, citando a caso, gli ideali
di uguaglianza politica, la relatività generale, l'epicureismo,
l'evoluzione biologica delle specie, la riforma protestante –
potenzialmente tutte le idee e tutte le culture a prima vista
addomesticanti sono pericolose: si tratta di capire come usarle al
meglio.
La concezione che Sloterdjik ha
dell'essere umano non è soltanto avvilente – e tuttavia avere una
bassa considerazione dell'uomo non merita certo nessun biasimo – quanto piuttosto
dubbia a livello storico e surrettiziamente reazionaria. Per
Sloterdijk l'uomo migliore, l'uomo salvo è quello domestico e
mansueto, al contrario di ciò che sostiene il suo maestro-avversario
Nietzsche.
Si può obiettare a Sloterdijk che la
sua visione della storia della cultura umana sia viziata da questa
equazione di fondo, “umanismo – e quindi cultura – è
addomesticamento”, e che questo cortocircuito teorico possa essere
foriero di errori e interpretazioni nocive.
In
primo luogo, ci potrebbe portare a scartare dalla storia
dell'umanismo le idee più “esplosive” e rivoluzionarie, in
quanto media potenzialmente “disinibenti”, quando invece sono
state proprio queste
idee a farci evolvere (non tanto nel senso biologico-darwiniano del
termine, quanto piuttosto nel senso culturale).
Inoltre,
quella di Sloterdijk ci pare una concezione reazionaria della storia della cultura, in
quanto si definisce su posizioni difensive: conserviamo ciò che ci
preserva mansueti e domestici, invece di promuovere ciò che potrebbe
innescare nuove e impreviste svolte del pensiero (concezione che
emerge fin dal “titolo soteriologico” della raccolta: il punto,
per Sloterdijk, e prima di lui, Heidegger, è la salvezza
dell'uomo, piuttosto che la sua indipendenza); mansuetudine e
domesticità che giovano senz'altro agli allevatori, piuttosto che
agli allevati.
Infine,
mi pare che Sloterdijk dimentichi un fattore decisamente importante
per la storia della cultura umana, un fattore che rappresenta, a mio
avviso, il maggiore controesempio alla sua teoria dell'umanismo
“addomesticante”: ovvero che non è il sapere a renderci docili,
ma più spesso l'ignoranza.
Non è leggendo autori classici e
opere filosofiche che diventiamo mansueti e domestici; al contrario,
è privandoci della lettura e della cultura che i nostri
“allevatori”, chiunque essi siano, potrebbero assicurarsi la
completa domesticazione dell'uomo. Il vero compito della cultura,
secondo noi, dovrebbe proprio consistere nell'emancipazione
dell'allevamento addomesticante impostoci dall'alto: l'ignorante,
ovvero il non-umanista, è più duttile di qualsiasi letterato.
Per
riassumere: 1) non esistono media
culturali meramente “disinibenti”, ovvero saperi che ci rendono
mansueti e contribuiscono alla nostra domesticazione; 2) la vera
domesticazione dell'uomo si ottiene con l'ignoranza; 3) pensare la
cultura come media
“addomesticante” è sbagliato e svela una concezione della
cultura reazionaria e potenzialmente “inibente” gli sviluppi
futuri del pensiero.
A costo di suonare fastidiosamente
astratti, siamo per una cultura umanista che “affranchi” l'uomo
piuttosto che allevarlo, ovvero che contribuisca a far muovere, a far
fermentare lo spirito, e non per un sapere che contribuisca alla
domesticazione dell'uomo, che lo renda mansueto. Una cultura di tal
genere richiama echi sinistri, spettri di cui non sentiamo affatto il
bisogno.
Secondo me l'autore di questo scritto non ha capito affatto le intenzioni di S. nel suo scritto sul parco umano. La domesticazione, per S., è un fattore negativo per lo sviluppo umano ed egli è ben lungi dall'approvarla, come invece crede l'autore del presente articolo.
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