A
mo' di conclusione e completamento dell'intervento precedente,
crediamo sia utile analizzare in breve le idee di un altro saggio
contenuto nel volume Non siamo ancora stati salvati, intitolato L'offesa delle macchine,
per tenere in allenamento i nostri anticorpi.
Il
saggio parte tratteggiando mirabilmente la storia del pensiero
scientifico occidentale usando categorie mediche: se la salute è
considerata dai medici “il successo del sistema
immunitario” (e vediamo che la
scelta teorica di Sloterdijk, non a caso, ripropone una lettura
“difensiva” del successo vitale: vive meglio chi si difende
meglio), si potrebbe analogamente pensare alla storia della cultura
come “la storia dei ferimenti e della rigenerazione dei
sistemi immunitari mentali”
(p. 277), secondo il famoso paradigma freudiano della ferita
narcisistica che l'illuminismo ha provocato all'uomo, prima con
Copernico, poi con Darwin e infine con Freud stesso.
In buona sostanza, ad ogni ferimento
narcisistico o crescita di sapere scientifico – che secondo
Sloterdijk sono molto più numerosi e frequenti di quelli enumerati
da Freud, tra cui anche la più recente ferita, o offesa, delle
macchine appunto, che sono diventate non solo migliori di noi, ma
alla nostra vita necessarie come “protesi” – corrisponde una
rigenerazione del sistema immunitario, o un miglioramento della
nostra salute.
Tuttavia
non sempre questa rigenerazione riesce completamente. Secondo
Sloterdijk, per quella che chiama ipotesi psico-storica,
ci sono delle componenti “offese” in ogni anima individuale,
corrispondenti ai diversi paradigmi epistemologici che si sono
susseguiti nella storia; delle parti psichiche “primitive” che
non sono state totalmente debellate dai nuovi sapere scientifici.
Dentro
di noi, la nostra “anima” combatte contro le parti animiste,
ancora legate alla Weltanschauung
religiosa, contro quelle soggettiviste,
legate alla scienza moderna e a una concezione forte di “soggetto”,
e così via. Cosa fare per controllare queste schegge di passato
dentro di noi? Sloterdijk propone un “compromesso storico”:
L'umanità originaria nasce come uno humour culturalmente evoluto in rapporto a ciò che, in noi stessi e nei nostri vicini, non è poi così evoluto culturalmente. Lo humour umanistico è il magnanimo rivolgersi del presente verso un passato superato e ancora non del tutto scomparso (…) Chi crede nelle potenzialità dell'intelligenza non può fare a meno di impegnarsi per il raggiungimento di un rinnovato compromesso storico tra le formazioni culturali dello spirituale. [p 288-289]
Idea
ancora confusa, quella di compromesso storico tra le diverse parti
della nostra anima in subbuglio: qui si parla di "humour umanistico",
che ricorda tanto il ghigno di superiorità di chi si crede migliore verso chi si ritiene indubitabilmente inferiore. Ma poco più
avanti, Sloterdijk fa un esempio concreto di questa "magnanima" tolleranza umanista:
Si potrebbe favorire il compromesso storico tra la cibernetica e il personalismo, se in Baviera venisse stabilito per legge l'obbligo di appendere crocefissi nei laboratori di computer e nelle sale operatorie: è proprio quanto dicono le anime morte di Karlsruhe. [p 290]
Ovvero:
si potrebbe favorire il compromesso tra due diverse parti della
nostra anima (leggasi società), una più evoluta (la cibernetica,
che ingloba macchina e uomo) e l'altra meno (la personalistica), se
si appendessero simboli del passato meno evoluto in luoghi
altrettanto simbolici dell'evoluzione culturale: in questo caso
crocefissi nelle sale operatorie. A quanto pare, questa idea non
sarebbe farina del sacco di Sloterdijk: gli è stata suggerita,
scrive, dalle “anime morte di Karlsruhe”,
ovvero dagli ebrei, sinti e rom deportati durante il nazismo.
Karlsruhe era un sottocampo di Auschwitz.
In Italia, di crocefissi appesi alle
pareti se ne contano ancora tanti, e non mi pare che il “compromesso
storico” tra le diverse parti della società abbia poi funzionato
bene, anzi: non mi sembra che ci sia stato proprio nessun compromesso
concreto.
Ma ciò non importa; è invece più
interessante notare come, ancora una volta, Sloterdijk abbia
strumentalizzato le sue teorie per introdurre surrettiziamente
un'idea incredibilmente reazionaria, ovvero la giustificazione del
crocefisso all'interno di un luogo pubblico che, lungi da essere un
compromesso, a noi pare una vera e propria imposizione forzata.
Non solo: è l'appello agli ebrei
deportati che dà più fastidio al lettore accorto; sembra quasi che
Sloterdijk spieghi gli orrori antisemiti tirando in campo l'ateismo
di facciata tipico del regime nazista, come a dire che niente di
tutto ciò che è stato fatto sarebbe successo se si fosse avuta più
fede "umanistica" nel Cristo. Il che non solo è storicamente falso, quanto
moralmente scorretto.
Ultimo
esempio della furbizia teorica di Sloterdijk è dato dalla sua
magistrale definizione di “reazionario”, contenuta sempre nello
medesimo saggio: “posizione a partire dalla quale è
possibile compiere soltanto una protesta e nessun avanzamento di
pensiero.” [p 289]
Ciò che a prima vista sembrerebbe
un'elegante definizione teorica, nasconde un tranello ben congegnato:
Sloterdijk fa passare per “reazionaria” qualsiasi posizione di
protesta all'esistente; reazionario sarebbe anche questo intervento,
in quanto “protesta” contro un pensiero.
“Soltanto” una protesta: si
sminuisce il pensiero critico per giustificare la normatività,
quando storicamente è stata proprio la protesta a muovere
dialetticamente il pensiero. E ancora: ogni protesta, a ben vedere, è
un “avanzamento” di pensiero. Ciò che conta è la direzione, e
questo Sloterdijk sembra dimenticarlo. Il punto non è la protesta in
sé, quanto il suo “verso-cosa”: progressista se cerca di superarsi,
reazionario se punta al mantenimento dell'esistente. Ed è proprio
per questo che, ci sembra, Sloterdijk può essere definito
“reazionario”.
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