La
metafisica non è morta, a dispetto di tutte le ingiurie e gli
accidenti che le hanno augurato. Non si può fare a meno di usare
categorie metafisiche, e questo per una ragione molto semplice: l'uomo è
un animale metafisico. Checché ne dicano scientisti, positivisti e
scienziati, la metafisica non è il regno dell'errore e della
speculazione vuota, né la bestia nera nata dalla soppressione delle
regole logiche; più semplicemente essa è la struttura di base che
le permette, il “luogo comune” su cui costruire.
Il
problema è tale solo se è affrontabile – affrontabile,
notare bene, e non risolvibile, e neppure falsificabile –
all'interno di categorie metafisiche. Per questo non possiamo fare a
meno della metafisica. Per
vivere, la metafisica si nutre di opposizioni. Una celebre
opposizione del pensiero occidentale descrive un movimento
concettuale che ha segnato la nostra storia e la nostra visione delle
cose: l'opposizione tra l'ascendere-oltre e il rimanere-dentro.
Si
potrebbe riscrivere la storia della filosofia occidentale solamente
usando questa categoria metafisica. Azzardando un'ipotesi
archeologica, potremmo affermare che, almeno a livello macroscopico,
la storia della metafisica moderna è stata caratterizzata dalla
guerra (e dalla successiva, precaria vittoria) dell'immanenza sulla
trascendenza.
Ci
sono state soste, battute d'arresto improvvise, inversioni di
tendenza ma, alzando lo sguardo, possiamo seguire il percorso errabondo del
pensiero moderno dai suoi primi, timidi tentativi di affrancarsi da
una dimensione trascendente sovrana assoluta, passando per le mature
dichiarazioni della dignità ontologica del piano immanente, fino
agli ultimi formidabili “colpi di martello” dati dall'immanenza
vittoriosa contro gli ultimi idoli trascendenti.
Stiamo
semplificando molto, ma per mostrare come, senza queste categorie
metafisiche, ovvero senza l'appoggio di queste due nozioni, di questi
due movimenti antitetici e opposti, non si potrebbe capire appieno la
storia del pensiero occidentale.
Nella
sua accezione più generale e primitiva, la trascendenza simboleggia
un piano ontologico altro dal nostro, posto al di fuori delle
nostre possibilità conoscitive. La trascendenza è un salto nel
buio, l'evasione dal particolare, slancio poetico e religioso. La
trascendenza è un po' la cassaforte concettuale usata da chi ha
bisogno di mettere al sicuro principi, ideologie, valori e ideali. Il
suo aggettivo è lontano.
Il
movimento dell'ascendere-oltre è comune tanto al ricco proprietario
impaurito e ossessionato dalla difesa del suo status quo, quanto al
mistico poeta alla romantica recherche di un piano di realtà
diverso da quello quotidiano. In ogni caso, è proprio quest'ultimo
piano ontologico, quello quotidiano, che viene, direttamente o
indirettamente spogliato della sua autonomia e, nei casi più
estremi, della sua dignità.
Il
pensiero immanente è il calco negativo del pensiero trascendente:
rimane-dentro le cose, rimane vicino ai sensi, rifiuta ogni volo. Il
pensiero immanente è vicino
alle cose, pragmatico come il mercante arricchito in cerca di titoli
nobiliari; rifiuta ogni spiegazione che lo porti lontano, che non
possa controllare in prima persona. È un pensiero sedentario, ma
anche rivoluzionario e combattivo.
L'antitesi
tra immanenza e trascendenza è irrisolvibile. Non possiamo decidere
definitivamente per nessuna delle due. Possiamo farci partigiani di
una di esse decidendo in modo quasi religioso quale scegliere;
possiamo preferirne una per questioni estetiche, e privilegiare
l'altra per considerazioni morali o politiche.
Quello
che mi pare più interessante chiedersi è cosa potrebbe accadere a
livello metafisico scompaginando queste categorie rigide. Non è
domanda da poco conto: sono simili cambiamenti d'accento e di
prospettiva a determinare lo stile di pensiero di un'epoca.
Perché
non si è mai pensato di ibridare le categorie? Analogamente
all'allevatore, che decide quali esemplari far accoppiare in modo da
modificare o sviluppare determinati fenotipi, così il filosofo
dovrebbe adoperarsi a creare categorie metafisiche che rispondano ai
nostri bisogni non solo estetici, ma anche morali ed epistemologici.
Dopo
tutto la metafisica è un'invenzione umana, al pari di uno strumento
tecnico. E come ogni strumento, la usiamo per orientarci e vivere
meglio, per capire come comportarci e, nel migliore dei casi, capire
anche il perché di qualcosa. Per questo non dovremmo farci alcun
tipo di scrupolo nel modificare, nel de-costruire e nel rimontare, al
fine di rendere la metafisica più abitabile. Non dovremmo esitare a
ibridare le categorie, poiché è anche e soprattutto attraverso
l'incrocio e lo scambio tra concetti (e di concetti) che la storia
del pensiero muta e si evolve. Nulla mai deve restare immobile per
troppo tempo.
Avremmo
così due possibili incroci metafisici: le categorie ibride della
inascendenza e della
transmanenza, ovvero
il pensiero che ascende-dentro e quello che rimane-oltre. Che tipo di
effetti potrebbero avere queste categorie? Che tipo di atteggiamento
filosofico potrebbe corrispondere a ciascuna?
(Tutto
questo è chiaramente un divertissement
estivo ma, a pensarci bene, che cosa è più serio del gioco? Nel
gioco si possono ancora seguire delle regole, comportamento che non
pare più possibile, o terribilmente fuori moda, in molti altri campi
d'esistenza.)
Ad
una prima, sommaria analisi, il pensiero trans-manente è un pensiero
che non mi attira; potrebbe forse assomigliare al pensiero teologico,
che appunto rimane-aldilà, lontano da noi, immobile e ieratico.
Un
buon candidato sembra essere invece il pensiero in-ascendente, ma
quali forme potrebbe mai assumere? Un pensiero che capisca come anche
nella prossimità si
dia una profondità di
movimento? Un pensiero-limite che non accetti più come fermi, dati e
scontati il qui e l'ora, ma che affondi, con slancio analogo a quello
della trascendenza, dentro il piano ontologico quotidiano?
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