[Pubblichiamo qui sotto due brevi estratti dal monologo I sentieri di Dino Campana che sarà recitato il 6 settembre da Gianfranco Tondini presso il Rifugio La Burraia (Santa Sofia, FC), in occasione dell'escursione dedicata da Ravenna Festival e Trail Romagna al centenario della pubblicazione dei Canti Orfici di Dino Campana. Qui, informazioni dettagliate.]
Sono
qua. Sì, sì, sono io.
Sì,
ero poeta, ma sa, non mi ricordo bene. Ma mi dica piuttosto, perché
mi tiene qui, Dottore? Cos'ho fatto? Perché sto qui davanti a tutti?
Non
lo so cosa mi ricordo meglio. Mi ricordo i sentieri, i monti, quelli
sì. Mi ricordo qualche città, i viaggi, una donna. Mi ricordo il
manicomio. Ci stavo anche bene gli ultimi anni.
Son
stato dentro molti anni. Non ho mai combinato nulla, era proprio
meglio star dentro.
Ero
nevrastenico: congestione cerebrale. È che non stavo mai fermo, non
mi veniva: avanti e indietro, avanti e indietro. "Ulissismo", dicevano.
Un modo per non dire vagabondo.
Poi
sono morto. Quarantasei anni. Che peccato. Stavo per uscire. Cinque
lingue sapevo, cinque!
A me non è mai importato di essere un grande artista. Io sognavo di essere un artista puro, un artista che non facesse solo poesia, ma che fossa poesia.
E così è stato. Sono anche finito in manicomio se è per questo. Ma questa dedizione, questo sacrificio che ho perseguito, chiede intrinsecamente di essere riconosciuto. Altrimenti perché? Per chi? Ma essere riconosciuto da chi poi? Dai fiorentini?
Ero un sognatore. Sognavo di fondere il carattere germanico, barbaro e visionario, con il nitore mediterraneo e toscano. Nietzsche e Verlaine, Michelangelo e Leonardo. I divini primitivi! Si figuri i futuristi fiorentini! Per loro contava solo lo scandalo mondano, stupire i borghesi per qualche spicciolo, far le puttane, tutto qui.
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