Bologna la sera si spoglia del rosso,
D’un rosso che ne impregna l’intonaco
che la tinge d’un tramonto chimico.
Si riveste di marmo e vetro verde;
Colonne infinite e bottiglie vuote
La sorreggono; non starebbe in piedi,
Ubriaca matrona di mollezze.
Balbetta piano infantili sciocchezze
Fatte di clacson e risate, di ritmi
Inebriati d’alcool e polveri
sopraffini. S’avverte il tempo dei
secoli, là tra le ombre claustrali
o sul filo di mille e mille passi
mille e mille pagine; ma silenti
rimangono alla folla che la mangia
dal di dentro, chiassosa metastasi
di soldi e sorrisi. La città s’è persa
e mi chiede indicazioni. Non le so.
Mi dice che si sente una puttana,
e non ricorda più le sue poesie.
Osservo muto il laterizio scuro
Di San Petronio (grottesco il suo viso!)
e rispecchio in esso la mia incompiutezza.
Questa poesia riesce a ricreare molto bene l'atmosfera che si respira a Bologna. Particolarmente efficaci, a mio avviso, sono alcune immagini come le colonne e le bottiglie vuote che la sorreggono, le ombre claustrali e la chiassosa metastasi.
RispondiEliminaForse un'altra Bologna (come scrivi di Venezia) va cercata e quasi scovata, come se si celasse con cura.
Complimenti.
Luca
Ti ringrazio, Luca.
RispondiEliminaSono convinto che un'altra Bologna esista, e che vada ricercata. Ma la perdita è grande, e sintomo di questi tempi.