mercoledì 7 aprile 2010

Abbandonate il sentiero

C’era una volta..

.. Una ragazzina di nome Cappuccetto Rosso. Anzi, mi correggo: c’erano una volta ben sei ragazzine vestite di rosso e di nero (dualismo) ad attendere quasi immobili in una stanza cremisi.
Una di loro accarezza un coniglietto bianco, un’altra prova ad indossare un cappello, una terza, dalla gamba immobilizzata in una gabbia ortopedica, legge un libro.
Un paniere giallo.

Cambio scena:

Una lunga strada asfaltata indica la direzione da seguire per arrivare sani e salvi alla casa della nonna. L’asfalto lascia presto spazio ad un largo sentiero sicuro, coperto di luce, mentre da ogni lato incombe l’ombra informe di un’oscura foresta piena di misteri.
“Segui il sentiero”.
Cappuccetto Rosso cammina e cammina quando “è improvvisamente attratta da uno splendore in mezzo agli alberi”. Lascia leggermente il sentiero, lo segue con gli occhi da lontano mentre un oggetto (?) biancheggia fra le foglie e si allontana sempre di più dalla luce.
Le gambe della ragazzina si mettono a correre da sole e la trascinano lontano, dentro la notte. Il giorno splendente del sentiero diviene un grigio cupo, il tessuto misterioso che ricopre i segreti della psiche.

Una figura vestita di bianco (ora si vede distintamente) ci guida verso un pozzo.

Sono solo pochi passi ma il sentiero, tanto largo e tanto sicuro, non si vede più. La ragazzina non potrà più ritrovarlo.

Dal pozzo si cammina seguendo strade occasionali, brevi squarci di chiaro sulla tenebra del bosco: un divano abbandonato, un palazzo distrutto circondato da bossoli, un’automobile, un parco giochi deserto. Sono oggetti nudi, spogliati della loro funzione e del loro significato, oppure caricati della loro essenza fino allo stremo delle forze, cresciuti come dalla terra, immobili e silenziosi. Forse sono ricordi, frammenti di una memoria perduta che tenta di ricongiungere le fila del tempo (il tempo dell'anima) attraverso un intrico di abissi sempre più fitto.
Cappuccetto Rosso si ferma davanti ad una panchina. Si siede.
Il mistero degli oggetti resta tale. Non c’è nulla che si possa fare o non fare.
Si rialza e riprende il cammino.

“Quante cose, atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi, ci servono come taciti schiavi, senza sguardo, stranamente segrete!” Borges cantava così i cari strumenti quotidiani, il loro enigma insolubile nell’enigma delle azioni della vita.
Il sentiero, o quello che noi immaginiamo essere un sentiero, adesso è solo una proiezione astratta, un istinto remoto che ci lega di passo in passo al destino indecifrabile dei nostri ritrovamenti.
Il paniere si riempie di ricordi, regali per la nonna, la nonnina che abita nella casa alla fine del bosco.

Si ritorna spesso sui propri passi. La foresta è immensa, potenzialmente infinita, eppure le cose tornano sempre uguali a loro stesse. Forse è un limbo circolare, come il fiume curvo della memoria che ricorda il futuro e prevede il passato, quando mare e fonte si congiungono nel corpo sottile e schiumoso di questo torrente capriccioso.

Un brontolio. Orme sul terreno. La ragazzina è innocente e non conosce la differenza fra preda e cacciatore, fra orme di coniglio e orme di…...
…Sì, lo sa. Ora lo sa.
C’è un lupo in mezzo agli alberi. Una creatura che la spia e che vive anche dentro di lei.

Il lupo non è un lupo.
Il lupo è una donna vestita di sangue. Una nuvola scarnificata. Un boscaiolo libidinoso. Oppure è proprio un lupo peloso, nero, affamato.

L’esperienza con il lupo passa attraverso il sesso. La ragazzina cresce e nel suo tunnel approda alla casa della nonna.
La tempesta infuria.
In quella casa converge tutto il mistero.
L’adolescenza, l’infanzia, la vita adulta e la morte.

È questo che il bosco voleva dirci?
A cosa portava la deviazione?

Buona ricerca.

"The Path"

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