giovedì 20 maggio 2010

Queste piccole piante

Oh albero di fico, da quanto tempo ormai per me ha
significanza
il modo in cui tu salti quasi la fiorita
e nel frutto per tempo voluto, senza esaltarti,
spingi il tuo puro mistero.
Come i tubi della fontana, i tuoi rami contorti
spingon la linfa da tutte le parti: ed essa dal sonno,
quasi senza destarsi, balza nella felicità del suo più dolce adempimento.

Rainer Maria Rilke, “Elegie Duinesi”, sesta elegia

Dentro alle piante la vita è un istinto cieco che naviga lungo strutture tubulari fino al mare della luce. L’organismo pianta non conosce l’esito di tale forma indistinta (fiore, foglia o frutto), spinge fuori di sé la forza della sua stessa crescita e trae dalla terra e dall’acqua e dal sole la materia che convertirà nelle strutture principali del suo organismo.

La pianta tocca con le radici la terra, vive il terreno fin dentro le sue più piccole porzioni di materia e poi, ancora oltre, sminuzzando, penetrando gli elementi nutritivi che dalla torba più vile e più viva (fatta di animali, uomini e altre piante) si innalzano lungo il fusto fino all’esterno dove, bagnate di luce, si trasformano e ritrasformano respirando di un unico respiro.

Le onde del mistero di questi organismi scorrono all’interno, in comunione intima con un mondo percepito in maniera totale, rispetto al vano sentire degli esseri umani.
Cos’è la terra? La terra è suolo, la terra è un tavolo su cui battere i piedi e costruire castelli di carte.
Cos’è la terra? La terra è un ventre grasso e zeppo di abissi, caldo, umido o secco e gelato, una vulva con cui entrare in rapporti carnali o endoscopici.

Il sole è per l’uomo fonte di luce, una cascata che colpisce le cose e le distingue al nostro sguardo.
Il sole è invece bene per la pianta, laddove il buio è nemico, mano che serra i petali nel buio e fa chiudere le foglie, come mani nelle tasche quando è inverno.

E l’acqua, l’acqua a cui le piante si tendono come religiosi verso una reliquia, l’acqua che scende dal cielo e trasforma in fango la terra, l’acqua buona e dolce dei primi giorni.
L’uomo si ripara e fugge da lei; la pianta si offre e si dispiega, si innalza e si contorce per assorbirne anche la più piccola goccia.

Quanti vasi di fiori e piante grasse vivono una vita totale, posti placidamente sopra i terrazzi, sulle finestre, fuori dalle porte o negli orti di campagna; tutti, nei loro vasetti pieni di terriccio, scavano, cercano, crescono della crescita più bella e innocente e comunicano fra di loro con profumi solo in parte percepibili dall’uomo. Oltre i terrazzi, i paesi, i boschi e i confini dei campi, migliaia di aromi corrono lungo correnti aeree privilegiate per raggiungere piante, per essere accolti nella loro essenza reale.

E gli uomini amano, odiano, percorrono solo la superficie delle cose con i loro sentimenti, i bordi più sporgenti della natura mentre le piante restano quasi ferme, ad estendersi in verticale, profondità e altezza, dalla nigredo, passando per l’albedo e giungendo alla rubedo, da fango a fiore, attraverso la luce del sole, il sole che albeggia e il sole che tramonta.

Fonte ispiratrice: Nanna o l’anima delle piante di Gustav Theodor Fechner

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