[Per ogni sorta di chiarimento sul progetto generale rimando al primitivo abbozzo dello schema così come lo scrissi più di tre mesi fa e alla sua compiuta e più recente presentazione.
Abbiamo analizzato il processo attraverso il quale il soggetto si separa momentaneamente dalla sua società di provenienza per la creazione (che forse è la prima vera e propria creazione artistica del singolo) di una voce individuale; ovvero di come, attraverso quella fase che abbiamo chiamato il principio del discrimine, il soggetto si distacca dal suo Io collettivo per fondarne uno biografico, necessario – ma non sufficiente – alla fase creativa *.
[* D’ora in avanti, quando verrà usato il termine società, andrà inteso in senso lato, non come universalità d’individui al di fuori del soggetto creante o come appunto “società umana allargata”, ma piuttosto come Gemeinde, in quanto comunità di provenienza ristretta, legata alla biografia singola e irripetibile di ogni individuo; se si preferisce, e se non fosse paurosamente inflazionato, si potrebbe utilizzare il termine di J. A. Barnes e chiamarla social network, ovvero una rete sociale determinata da queste e non altre relazioni.]
L’Io, ormai distaccato e formatosi pienamente in sé, è sì capace di parlare con una voce propria, ma non è ancor pronto a ritornare in seno alla società d’origine, né tantomeno maturo per la creazione di un’opera artistica.
Si tratta quindi di (ri)creare un legame con un’altra società, quella passata e mai passata della Tradizione *.
[ * Certamente, non si può parlare di una tradizione unica, uguale in ogni tempo e in ogni luogo; ma di una Tradizione specifica, legata, un po’ come per la società di provenienza, ai tempi e ai luoghi, nonché al gusto del soggetto creante. Ad esempio, la Tradizione medievale, in termini di autori e opere (ma non di temi) differisce enormemente da quella settecentesca, così come la tradizione di Dante, differisce da quella di Cecco Angiolieri.]
[* Ciò è reso possibile dal fatto che i temi artistici sono in sostanza permanenti. L’”artisticità” – utilizzando un neologismo che comprende tutti gli aspetti della sfera emotiva dell’uomo, da quello sensitivo a quello estetico – è probabilmente ancorata alle più antiche e profonde zone del cervello umano, cioè a quelle parti cerebrali adibite al controllo delle emozioni e alla memoria emotiva. È possibile che molti di questi materiali siano rimasti invariati dall’inizio della storia culturale umana, così come lo sono state le stesse emozioni umane. Ne è riprova il fatto che, fin dai suoi primi passi e in culture ben diverse e lontane tra loro, l’arte umana si è confrontata con temi – morte, amore, divinità, sofferenza, bellezza etc. – e storie che presentano molti tratti in comune.]
Il dialogo con la Tradizione, con i suoi autori e con i temi permanenti offre il materiale grezzo su cui l’individuo può cominciare a lavorare, dapprima guidato da altre voci nell’interpretazione del mondo, poi cercando di interpretare il proprio mondo attraverso i propri occhi e cercando di rimodellarlo secondo la sua voce.
In altre parole, è proprio quando il soggetto creante, attraverso la sua opera, riesce a far parlare la Tradizione di sé e del suo tempo, che si può dire senza paura di sbagliare di trovarsi al cospetto di un’opera d’arte.
È l’Io che si fa dialogante, penetra la Tradizione e si esprime in essa – in ciò consiste la maturazione necessaria dell’artista, prima di ritornare alla società di provenienza *.
[* Quanto spesso si sente dire che un’opera di oggi x dialoga con un’opera della Tradizione y, e come facilmente di fissano accostamenti tra personalità della storia con personalità del presente. È il filtro del passato ad assegnare una statura.]
Ma per far parlare la Tradizione con la propria voce – o, ancora meglio, per far parlare di noi la Tradizione – bisogna riuscire a non rimanerne schiacciati.
Il peso specifico di opere e autori storici può essere impressionante, e c’è il caso che, anche solo il pensiero di uno scontro o di un Dialogo con la tradizione, ammutolisca il soggetto creante.
L’individuo può avvertire dolorosamente la propria statura di fronte ai giganti del passato (celebre la frase di Bernardo di Chartres a proposito) e la paura di una battaglia persa in partenza, dello scherno dei contemporanei o la frustrazione di fronte all’altezza inarrivabile degli antenati, rischia di annullare la forza creativa e costringerla all’afasia.
Il pericolo è davvero quello di finire schiacciati dal peso della Tradizione. Per questo è necessario parlare di un’epoché conoscitiva, o ancor meglio, di un’epoché della tradizione.
Per riuscire a creare autonomamente, ovvero in modo che il Dialogo con l’orchestra della Tradizione si risolva positivamente nella “vittoria” della voce singola, l’individuo mette momentaneamente tra parentesi il passato e decide di dare risalto alla propria voce – ovvero dimentica per un attimo chi lo ha preceduto, lasciando parlare e creare il proprio Io *.
[* Ci sono autori ossessionati dalla Tradizione, al punto che, spesso, per loro non si tratta più nemmeno di creare nuove opere, ma di superare gli antenati, o, più semplicemente di confutarli e criticarli, come per ridurre le loro dimensioni.]
Per riassumere, quindi, una volta instaurato il Dialogo con la Tradizione, si tratta di impiegare le proprie forze nella creazione di una conflittualità propositiva, che consiste nell’imparare a dialogare con il Passato senza cadere nell’afasia.
Se il Dialogo con la Tradizione riesce ad essere convogliato nel giusto modo, rimanendo in equilibrio senza che la voce del singolo si annulli in essa e senza che essa finisca per venire dimenticata del tutto, si avrà la nascita di una creazione artisticamente e teoricamente matura, favorita da una previa epoché artistica e arricchita da un notevole peso specifico datole dalla Tradizione stessa.
Attraverso questo dialogo, l’opera d’arte matura e acquisisce come una porzione del peso storico totale della Tradizione, che la fa crescere e progredire.
Da tutto questo derivano due conseguenze che ci stanno particolarmente a cuore.
La prima, piuttosto ovvia, è che nessun genio è isolato. Non esistono e non sono mai esistiti autori in grado di ignorare la tradizione e creare qualcosa di completamente nuovo, in nessun campo artistico, né oggi né mai.
L’arte si basa necessariamente su vari Dialoghi, dei quali uno è quello con la Tradizione. Al di fuori di esso non vi è arte né creazione artistica, al massimo provocazione o estetismo, ma rimane un qualche dubbio anche sugli ultimi due *.
[* Anche in ambito scientifico, è provato (vedi T. Kuhn, La struttura della rivoluzione scientifica e I. B. Cohen, La rivoluzione nella scienza) che le scoperte cosiddette rivoluzionarie, non nascono dal genio isolato di un solo scienziato chiuso nel suo laboratorio, ma derivano piuttosto dallo studio di opere precedenti e dal dialogo con i contemporanei riguardo tentavi falliti e ipotesi in fieri.]
La seconda, che discende dal discorso sulla permanenza dei temi, è una proposta che riguarda l’abbandono definitivo di qualsiasi tipo di classificazione delle opere d’arte. Se è vero che i temi dell’arte permangono gli stessi, attraversano secoli e secoli di storia senza subire modifiche di sorta – l’arte non è cumulabile, per essere brevi – allora è altrettanto vero che non reggono classificazioni di generi e correnti artistiche.
Non ha senso classificare né etichettare (se non forse per comodità accademica e scolastica, ma anche qui, come sopra, permane qualche dubbio) in quanto per poter classificare occorre distinguere differenze categoriche essenziali; differenze che in arte semplicemente non sussistono *.
[* Esistono forme diverse, è vero, e queste forme vanno legittimamente registrate e riconosciute, ma non si può parlare di temi diversi, poiché i temi sono rimasti invariati durante questi ultimi millenni di storia umana, e non si può creare una categoria speciale per un periodo così lungo. Esistono storie e soggetti diversi, si potrebbe dire; ma questi d’altra parte non sono riconducibili a una corrente o a un genere. Essi sono semplicemente individuali, irriducibilmente legati ad un solo ed unico soggetto creante, troppo particolari per rientrare in ragnatele categoriali. Ma di questo, più avanti.]
Avviato il Dialogo con la Tradizione, processo che non cesserà mai per tutta la vita dell’artista (ora si può osare chiamarlo così) e che filtrerà, per così dire, la sua stessa voce, occorre adesso istituirne un altro, non meno importante e non meno necessario del primo, l’ultima fase della causazione dell’arte: il Dialogo con la società di provenienza, ovvero il dialogo con l’Altro.
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