Sparta
- anzi, Sparti - langue innocua al centro della sua bella
pianura. Quattro strade, per di più brutte e polverose, ricostruite
in fretta e furia così come veniva più comodo, a centuriazione
romana. Qualche spartana sorbisce con la solita indolenza
l'immancabile caffè-frappè estivo, guardandoci passare con aria
interrogativa.
Nulla
che lasci riaffiorare il passato, nulla che riesca a fare anche solo
intuire l'esistenza di una delle città più importanti della storia
occidentale. Altroché "Questa è Sparta!", altroché
Leonida! Oggi alza goffamente la sua spada davanti allo stadio
cittadino, impietrito dentro una scultura discutibile, meta di
fanatici o di americani di passaggio in vacanza di gruppo.
Poco
distante, alle pendici del Taigeto, si trovano altre rovine, quelle
della fortezza di Mistra. Estremo avamposto difensivo e culturale
dell'Occidente greco prima della resa definitiva all'avanzata turca,
nel 1460. Ma fece in tempo a fiorirvi l'ultima delle scuole
filosofiche davvero influenti del tardo impero bizantino, quella di
Gemistio Pletone.
Neoplatonico
all'eccesso, finisce per attirarsi le antipatie dei cristianissimi
intellettuali occidentali, soprattutto durante il suo viaggio a
Firenze nel 1439, chiamato a comporre il grande scisma orientale. Chi
lo ascolta spera ancora in un possibile connubio tra Cristo e
filosofia (e, cosa ancora più ardua, tra Platone e Aristotele): lui
scandalizza il concilio di Firenze, auspicando una riforma morale e
religiosa che si richiami al culto del Sole e alle teologie dei
Gentili (in primis, Pitagora e Platone). Giorgio da
Trebisonda dice di lui: "l'ho sempre temuto come una vipera
velenosa".
Fatto
sta che è anche grazie a questa vipera se Firenze è diventata quel
centro di studio del greco e di rielaborazione culturale e filosofica
del platonismo, la culla di un movimento di pensiero che in pochi
anni cambierà la faccia dell'Europa intera. E, allo stesso modo,
possiamo ritenerci fortunati della presa turca di Mistra, nel 1460:
l'esodo di intere generazioni di intellettuali bizantini ha fatto la
nostra ricchezza. Non è un caso che le spoglie di Pletone riposino a
Rimini, nel misterico e pitagorico Tempio Malatestiano, e non in
patria, nel cuore duro del Peloponneso.
Terra
di esuli e rifugiati. Terra ostile e terra di guerra. Fino a Gytheio,
l'antico porto di Sparta affacciato sul golfo di Laconia, il suolo
lascia ancora sperare qualcosa. Ulivi, salici, arbusti, fiumi.
Nel Mani ogni
sollievo è bandito.
Rocce
nude a picco sul mare, piante bruciate, città disabitate, terrazzamenti in rovina. È
la punta meridionale della Grecia continentale, e come tutte le terre
estreme, non è luogo per pensatori. Vatheia, città turrita e ormai
quasi abbandonata, contempla da un'altura il deserto di sterpi e il
blu violento del mare. Capo Matapan non è lontano, lo nasconde una
montagna abrasa dal sole.
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