lunedì 21 luglio 2014

Es patrìda gaian #1

Ci si lascia l'agorà alle spalle, salendo. L'ombra bassa e odorosa dei pini è come una promessa: nasconde il sole spietato, allevia la fatica dell'ascesa. Le indicazioni sono poche, sulla collina della Pnice - i turisti ancora meno. Qualche ateniese si riposa su una panchina scrostata, fuma, dormicchia. Le lucertole approfittano degli sprazzi di luce disegnati sugli aghi di pino prima di sparire inghiottita nel folto delle agavi. Tutto odora di caldo, tutto è immobile nel frinire delle cicale.

Si ascende fino alla cima, poca cosa in confronto all'Acropoli. Quindi il verde dirada, si apre imprevisto a un bianco accecante, verso ponente. Spunta la roccia, nuda, come se avessero ferito la collina fino a mostrarne le ossa. È un teatro naturale, a semicerchio, che degrada impercettibile. Non un arbusto, se non sterpi bruciati e spinosi. A est, le chiome ossute dei pini; a ovest la città, a perdita d'occhio, un mostro incoerente di case e terrazze bianco sporche, che sale ed avvinghia alla gola il monte Licabetto.

Dal bema, il blocco di roccia bianco e consumato sul quale prendevano parola gli oratori, si assiste alla più bella vista dell'Acropoli che possa offrire la città: spunta inaccessibile dal verde cupo dei pini, si mostra frontalmente, con i Propilei in primo piano. Sulla sinistra le mura a strapiombo, a destra le colonne del Partenone; s'intuisce la presenza dell'Eretteo. È una visione, un monito, un timore; è la quinta che s'imponeva come occhio severo al retore di turno.



Il luogo di nascita della democrazia ateniese, il cuore politico dell'ekklesia da cui è passata e si è fatta la storia della città, è oggi uno spiazzo arso dal sole, dimenticato perché assente sulle guide, poco frequentato perché sostanzialmente privo di attrazioni. Come una cicatrice questo luogo è sopravvissuto uguale a se stesso sulla pelle di Atene, l'unico forse a preservarne la riservatezza e la severità antiche.

Sulla Pnice si fissano negli occhi le due facce di Atene, quella elegante e sovrumana scolpita nel marmo pentelico, e quella bulimica, caotica e violenta dell'Atene moderna; se ne respira la contraddizione. Quale possibile convivenza? Una gazza ci saltella attorno, prima di prendere il volo, si perde tra il verde.

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