sabato 26 luglio 2014

Es patrìda gaian #4

La strada che porta a Epidauro è poco frequentata. Si ripetono curve dolci, saliscendi morbidi, immersi nel verde dei pini marittimi. Sembra quasi che anche il sole qui sia più clemente, più umano, e non il solito mediterraneo disco di ferro battente. Non stupisce che il santuario dedicato ad Asclepio l'abbiano voluto fondare in questi luoghi: come per le case di cura moderne, immerse in quelle scenografie bucoliche e agresti che, in fondo, fanno sempre immalinconire un po'.

Assieme a Olimpia e a Delfi, per ragioni affatto diverse, Epidauro è stato un centro di raccolta e pellegrinaggio di importanza notevole per la civiltà greca. Il santuario doveva essere in un qualche modo un luogo paragonabile alla Lourdes moderna, in cui si va per ricevere la guarigione dal dio, in questo caso Asclepio.


Figlio di Apollo e della bella Coronide, Asclepio si ritrova prima ancora di nascere orfano della madre, a causa di una scappatella fatta alle spalle del dio. Apollo si arrabbia non poco, ma è la sorella a far giustizia al fratello cornuto: Artemide trafigge Coronide; poi Apollo si pente e si duole, e decide di salvare il piccolo Asclepio ancora feto. Neanche il tempo di fare amicizia col padre, che Asclepio viene affidato al centauro Chirone, maestro molto in voga nelle alte sfere (ha avuto per allievi vari bambini prodigio tra cui Achille, Eracle, Giasone, Teseo), che gli insegnerà l'arte della medicina.

Da allora lo si può riconoscere per i famosi attributi che ne hanno definito l'iconografia: il bastone e il serpente, suo animale sacro, che come i pharmakos del suo ambiguo padrone, può uccidere o guarire, a seconda delle dosi.

Ma più del santuario, oggi Epidauro è celebre nel mondo per il suo teatro di epoca classica, uno dei meglio conservati in assoluto, famoso per l'acustica e l'ampiezza. Un'oasi di sollievo in mezzo a un luogo di sofferenze. Si capisce qui molto bene che cosa doveva significare la catarsi tragica nella cultura greca, e come la purificazione dell'anima andava costituendosi di pari passo alla guarigione del corpo.



Prendiamo ad esempio il più famoso caso di guarigione nella storia della filosofia occidentale:

Siamo debitori di un gallo ad Asclepio; non ve ne dimenticate (Fedone, 118a).

Queste sarebbero, secondo Platone, le ultime parole di Socrate, spesso interpretate come una debolezza finale, con la delusione dell'allievo che scopre l'ignoranza del maestro. Nota la reazione schifata di Nietzsche che, collocandosi dentro un'interpretazione ben consolidata del passo, ha creduto di leggervi un'anticipazione del nichilismo pessimista cristiano, un rifiuto religioso della vita, paragonata ad una malattia - per questo sacrificare il gallo: perché Asclepio ci ha donato la morte, il farmaco finale a quel lungo e macerante male che chiamiamo vita. Ah, amici! Noi dobbiamo superare anche i Greci! (La gaia scienza, #340)

Altri non sono d'accordo con il drastico Nietzsche. Dumézil e Foucault, ad esempio. Secondo la loro lettura, per capire bene le ultime enigmatiche parole del padre del pensiero occidentale, bisogna legarle all'episodio precedente della tragedia di Socrate, ovvero il Critone. In questo dialogo, Critone visita Socrate in prigione, a pochi giorni dall'esecuzione, e gli espone un piano d'evasione. Socrate deve fuggire, sostiene, perché morire sarebbe come ammettere una colpa che si è commessa, e Socrate e i suoi allievi finiranno disonorati agli occhi dell'opinione pubblica.

È qui che inizia il lungo ragionamento di Socrate, un ragionamento curativo, per estirpare le opinioni dannose dall'anima del suo amico Critone, sostituendovi logos e aletheia. Come spiega Foucault pochi mesi prima di morire:

Si può supporre che questa malattia, che per essere guarita richiede il sacrificio di un gallo ad Asclepio, sia la stessa malattia dalla quale è guarito Critone quando, nella discussione con Socrate, è stato possibile affrancarsi e liberarsi dalle opinioni qualsiasi (...) per scegliere (...) un'opinione vera, fondata sul rapporto tra se stessi e la verità. (...) La morte di Socrate fonda davvero la filosofia, io credo, come una forma di veridizione che (...) caratterizza in maniera specifica il discorso filosofico. (M. Foucault, Il coraggio della verità, pp. 109-117)

Come la stessa vita di Socrate esemplifica, la guarigione non deve passare solo attraverso il corpo, ma deve essere anche una cura di sé stessi di ordine spirituale, un fare pulizia nei propri pensieri: rivolgersi solo a ciò che davvero conta per il nostro bene, abbandonando ogni preoccupazione superflua. E il teatro, la tragedia classica, rientravano forse in questo schema concettuale di purificazione interiore.


Oggi tra le rovine del santuario giocano cani randagi e si aggira qualche turista annoiato. Sono lontani millenni i dolori e i lamenti, le speranze e le disgrazie. È rimasta soltanto questa larga calma, lo splendido teatro vuoto in questo silenzio di cure e sollievo.

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