La
strada che porta a Epidauro è poco frequentata. Si ripetono curve
dolci, saliscendi morbidi, immersi nel verde dei pini marittimi.
Sembra quasi che anche il sole qui sia più clemente, più umano, e
non il solito mediterraneo disco di ferro battente. Non stupisce che
il santuario dedicato ad Asclepio l'abbiano voluto fondare in questi
luoghi: come per le case di cura moderne, immerse in quelle
scenografie bucoliche e agresti che, in fondo, fanno sempre
immalinconire un po'.
Assieme
a Olimpia e a Delfi, per ragioni affatto diverse, Epidauro è stato
un centro di raccolta e pellegrinaggio di importanza notevole per la
civiltà greca. Il santuario doveva essere in un qualche modo un
luogo paragonabile alla Lourdes moderna, in cui si va per ricevere la
guarigione dal dio, in questo caso Asclepio.
Figlio
di Apollo e della bella Coronide, Asclepio si ritrova prima ancora di
nascere orfano della madre, a causa di una scappatella fatta alle
spalle del dio. Apollo si arrabbia non poco, ma è la sorella a far
giustizia al fratello cornuto: Artemide trafigge Coronide; poi Apollo
si pente e si duole, e decide di salvare il piccolo Asclepio ancora
feto. Neanche il tempo di fare amicizia col padre, che Asclepio viene
affidato al centauro Chirone, maestro molto in voga nelle alte sfere
(ha avuto per allievi vari bambini prodigio tra cui Achille, Eracle,
Giasone, Teseo), che gli insegnerà l'arte della medicina.
Da
allora lo si può riconoscere per i famosi attributi che ne hanno
definito l'iconografia: il bastone e il serpente, suo animale sacro,
che come i pharmakos del suo ambiguo padrone, può uccidere o
guarire, a seconda delle dosi.
Ma
più del santuario, oggi Epidauro è celebre nel mondo per il suo
teatro di epoca classica, uno dei meglio conservati in assoluto,
famoso per l'acustica e l'ampiezza. Un'oasi di sollievo in mezzo a un
luogo di sofferenze. Si capisce qui molto bene che cosa doveva
significare la catarsi tragica nella cultura greca, e come la
purificazione dell'anima andava costituendosi di pari passo alla
guarigione del corpo.
Prendiamo
ad esempio il più famoso caso di guarigione nella storia della
filosofia occidentale:
Siamo debitori di un gallo ad Asclepio; non ve ne dimenticate (Fedone, 118a).
Queste
sarebbero, secondo Platone, le ultime parole di Socrate, spesso
interpretate come una debolezza finale, con la delusione dell'allievo
che scopre l'ignoranza del maestro. Nota la reazione schifata di
Nietzsche che, collocandosi dentro un'interpretazione ben consolidata
del passo, ha creduto di leggervi un'anticipazione del nichilismo
pessimista cristiano, un rifiuto religioso della vita, paragonata ad
una malattia - per questo sacrificare il gallo: perché Asclepio ci
ha donato la morte, il farmaco finale a quel lungo e macerante male
che chiamiamo vita. Ah, amici! Noi dobbiamo superare anche
i Greci! (La gaia
scienza, #340)
Altri
non sono d'accordo con il drastico Nietzsche. Dumézil e Foucault, ad
esempio. Secondo la loro lettura, per capire bene le ultime
enigmatiche parole del padre del pensiero occidentale, bisogna
legarle all'episodio precedente della tragedia di Socrate, ovvero il
Critone. In questo dialogo, Critone visita Socrate in
prigione, a pochi giorni dall'esecuzione, e gli espone un piano
d'evasione. Socrate deve fuggire, sostiene, perché morire sarebbe
come ammettere una colpa che si è commessa, e Socrate e i suoi
allievi finiranno disonorati agli occhi dell'opinione pubblica.
È
qui che inizia il lungo ragionamento di Socrate, un ragionamento
curativo, per estirpare le opinioni dannose dall'anima del suo amico
Critone, sostituendovi logos e aletheia. Come
spiega Foucault pochi mesi prima di morire:
Si può supporre che questa malattia, che per essere guarita richiede il sacrificio di un gallo ad Asclepio, sia la stessa malattia dalla quale è guarito Critone quando, nella discussione con Socrate, è stato possibile affrancarsi e liberarsi dalle opinioni qualsiasi (...) per scegliere (...) un'opinione vera, fondata sul rapporto tra se stessi e la verità. (...) La morte di Socrate fonda davvero la filosofia, io credo, come una forma di veridizione che (...) caratterizza in maniera specifica il discorso filosofico. (M. Foucault, Il coraggio della verità, pp. 109-117)
Come
la stessa vita di Socrate esemplifica, la guarigione non deve passare
solo attraverso il corpo, ma deve essere anche una cura di sé stessi
di ordine spirituale, un fare pulizia nei propri pensieri: rivolgersi
solo a ciò che davvero conta per il nostro bene, abbandonando ogni
preoccupazione superflua. E il teatro, la tragedia classica,
rientravano forse in questo schema concettuale di purificazione
interiore.
Oggi
tra le rovine del santuario giocano cani randagi e si aggira qualche
turista annoiato. Sono lontani millenni i dolori e i lamenti, le
speranze e le disgrazie. È rimasta soltanto questa larga calma, lo
splendido teatro vuoto in questo silenzio di cure e sollievo.
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