lunedì 11 agosto 2014

Es patrìda gaian #5

Ci sono cose che possono essere capite solo in rapporto al "dove" nel quale sono accadute; cose che si spiegano solo grazie alla geografia, allo spazio, o più semplicemente, grazie al suolo.

Si racconta che Latona, incinta e raminga, condannata dalla gelosa Era a non trovare posto alcuno sulla terra per partorire i suoi gemelli, sia infine approdata a Delo, isola galleggiante in mezzo alle Cicladi - non più mare, non ancora terraferma - dove infine sarebbe riuscita a dare alla luce Apollo e Artemide, eludendo la maledizione.

Le Cicladi compaiono ancora così, come isole galleggianti, caotiche, forme fumose all'orizzonte o blocchi di terra scura e tagliente a picco sul mare. Dovunque si punti lo sguardo, ecco apparirne una lontana, poi un'altra, fino a dove è possibile intuirne.



E così, si capisce anche come sia stato possibile che queste terre tormentate, questi suoli scontrosi che non danno speranza d'ombra, siano stati un tempo il centro culturale e commerciale dell'Occidente, nella loro funzione di ponte tra due mondi, quello greco e quello persiano. Con la sola forza dei remi, era possibile fermarsi in terraferma ogni giorno, i tratti di mare aperto limitati il più possibile, affidandosi ad una più sicura navigazione di cabotaggio.

Si capisce anche il perché della bizzarra abitudine omerica di qualificare il cielo e il sole con attributi tratti dall'ambito metallurgico: il cielo è "di bronzo" (polychalkon), "di ferro" (sidèreon), così come il disco del sole. La luce, in questi luoghi, non batte, ma picchia, brucia, devasta, come metallo arroventato.

Immerse in questa luce abbacinante, le Cicladi scorrono accanto al nostro traghetto, si lasciano andare alla deriva come iceberg neri e bruciacchiati, accolgono alle pendici delle loro alture vulcaniche paesini bianchi affogati da turisti, dee in cerca d'asilo, mercanti omerici carichi di tesori orientali.

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