Dedico questo intervento a Orso,
per la pazienza e per le chiacchiere
per la pazienza e per le chiacchiere
L’intento di questo gruppo di interventi (nella mia mente tre) è quello di analizzare dal punto di vista cognitivo le ragioni che innescano la produzione artistica nell’uomo.
La convinzione di fondo è che debbano esistere delle pulsioni (in senso diverso da quello freudiano: si tratta qui d’istanze cognitive solo parzialmente inconsce, spesso mascherate sotto altre, ben più nobili spoglie) che spingono l’uomo a produrre “arte”. La ricerca, e conseguentemente l’individuazione di tali ragioni sta alla base degli interventi.
Ciò che si vuole confutare è la pretesa di molti critici e spesso degli stessi artisti di assegnare al loro lavoro una genesi semidivina: l’artista non è il portavoce di nessuno se non di se stesso.
L’illuminazione è pura finzione, niente di più.
Si tratta, quasi pleonastico dirlo, di ragioni che non rientrano nell’ottica dell’utilità, almeno che essa non venga intesa come il piacere dello spettatore; ma anche in questo caso permangono molti dubbi, corroborati dalla conoscenza che abbiamo delle cause del processo artistico in diversi autori.
Spesso, infatti, si associa alla creazione artistica una volontà di accettazione, o meglio, un bisogno di accettazione, del tutto ingiustificato ed ingiustificabile alla luce delle motivazioni personali che hanno mosso in principio l’autore.
Non si deve in nessun modo ridurre il lavoro artistico a palliativo di un’esperienza mancata dell’autore.
L’artista, come tutti, vive; egli è immerso in una realtà ben determinata i cui influssi sono rintracciabili nella sua opera. Non esiste poesia che non descriva un attimo della vita del suo autore, così come non c’è quadro o melodia che non si possa in un qualche modo associare ad un’esperienza concreta del compositore.
L’opera d’arte distaccata dalla vita è un’utopia. Per questo la biografia di un artista è così importante per capirne fino in fondo l’opera. Troppo spesso purtroppo si pensa che conoscere i sogni, le paure, i desideri, le ossessioni, gli amori di un autore non sia, in fondo, nient’altro che una specie di chiacchiericcio inconsistente ai fini di una ricerca più approfondita della sua opera.
Al contrario, sono convinto che non ci sia nulla di più utile della biografia per comprendere davvero le idee e il lavoro di un artista, le sue intenzioni e i suoi giudizi, gli ideali e le fobie.
Certamente il discorso non può essere estremizzato in un riduzionismo dell’opera in vita o viceversa. È vero che l’opera viene influenzata necessariamente dalla vita, ma non è del tutto riconducibile o riducibile ad essa.
La storia ci indica gli effetti disastrosi che l’assimilazione dell’arte in vita ha prodotto nel lavoro di molti; vivere la propria opera porta spesso alla dissoluzione di entrambe o, nella peggiore delle ipotesi, alla loro completa distruzione. Il mito romantico di quella che si potrebbe chiamare “coerenza assoluta”, vivo ancora oggi in svariati ambiti di produzione artistica (come ad esempio nel campo della musica rock), è sotto gli occhi di tutti, ed ha falcidiato intere generazioni, sottoforma di guerra, droga o isolamento, a seconda dei casi.
Concesso tutto questo, il piano di ricerca sarà in definitiva quello della quotidianità dell’esperienza artistica.
Si devono cercare motivazioni sì profonde e legate all’interiorità personale, ma non al punto da dover ritenerle “immateriali” o impraticabili per una ricerca razionale.
Bisognerà quindi necessariamente astrarre dalla congerie di irriducibili esperienze soggettive legate alla vita di tale o tal’altro autore delle motivazioni che si possano ritenere, con tutta probabilità, generali ed oggettive.
Non bisogna ad ogni modo avere la presunzione di assolutizzarle e ritenerle per questo valide in ogni ambito. L’astrazione implica sempre una riduzione di elasticità e la necessaria schematizzazione di una realtà che non può essere schematizzata compiutamente: la realtà della pensiero.
Ciò che davvero conta è non cadere in un cinismo assoluto da una parte, secondo il quale l’artista fa un lavoro come tanti, per fini materiali (si veda un intervento precedente); ma neppure sbrigare la faccenda tirando in causa una sorta di genio mistico che il destino ha dato in sorte a qualcuno piuttosto che ad altri.
Credo tuttavia che sia possibile almeno provare a capire le pulsioni che spingono l’artista all’opera, analizzando a fondo diversi esempi di vita. Pulsioni concrete, esistenti, necessarie: non afflati divini, ma neppure passioni cieche ed egoiste.
Ci sono infatti dinamiche sociali e mentali che si ripetono con schemi quasi paralleli in diversi momenti del processo della storia artistica.
Un approccio comparativo è possibile; questo è già sintomo di una profonda somiglianza della dialettica artistica in autori apparentemente del tutto autonomi e distanti, nel tempo e nello spazio.
In conclusione, mi limiterò a precisare i tre “momenti cognitivi” a mio avviso indispensabili per potere parlare di un’effettiva creazione artistica: il “principio del discrimine”, in un primo momento, come motore o principio della ricerca artistica; in seguito, la necessità di un’ "ἐποχή conoscitiva” o “dubbio positivo” come mezzo della creazione, imprescindibile per l’atto artistico; e infine il “desiderio del ricordo” come ultima tappa, meta dell’intero percorso creativo, e compimento della creazione.
La convinzione di fondo è che debbano esistere delle pulsioni (in senso diverso da quello freudiano: si tratta qui d’istanze cognitive solo parzialmente inconsce, spesso mascherate sotto altre, ben più nobili spoglie) che spingono l’uomo a produrre “arte”. La ricerca, e conseguentemente l’individuazione di tali ragioni sta alla base degli interventi.
Ciò che si vuole confutare è la pretesa di molti critici e spesso degli stessi artisti di assegnare al loro lavoro una genesi semidivina: l’artista non è il portavoce di nessuno se non di se stesso.
L’illuminazione è pura finzione, niente di più.
Si tratta, quasi pleonastico dirlo, di ragioni che non rientrano nell’ottica dell’utilità, almeno che essa non venga intesa come il piacere dello spettatore; ma anche in questo caso permangono molti dubbi, corroborati dalla conoscenza che abbiamo delle cause del processo artistico in diversi autori.
Spesso, infatti, si associa alla creazione artistica una volontà di accettazione, o meglio, un bisogno di accettazione, del tutto ingiustificato ed ingiustificabile alla luce delle motivazioni personali che hanno mosso in principio l’autore.
Non si deve in nessun modo ridurre il lavoro artistico a palliativo di un’esperienza mancata dell’autore.
L’artista, come tutti, vive; egli è immerso in una realtà ben determinata i cui influssi sono rintracciabili nella sua opera. Non esiste poesia che non descriva un attimo della vita del suo autore, così come non c’è quadro o melodia che non si possa in un qualche modo associare ad un’esperienza concreta del compositore.
L’opera d’arte distaccata dalla vita è un’utopia. Per questo la biografia di un artista è così importante per capirne fino in fondo l’opera. Troppo spesso purtroppo si pensa che conoscere i sogni, le paure, i desideri, le ossessioni, gli amori di un autore non sia, in fondo, nient’altro che una specie di chiacchiericcio inconsistente ai fini di una ricerca più approfondita della sua opera.
Al contrario, sono convinto che non ci sia nulla di più utile della biografia per comprendere davvero le idee e il lavoro di un artista, le sue intenzioni e i suoi giudizi, gli ideali e le fobie.
Certamente il discorso non può essere estremizzato in un riduzionismo dell’opera in vita o viceversa. È vero che l’opera viene influenzata necessariamente dalla vita, ma non è del tutto riconducibile o riducibile ad essa.
La storia ci indica gli effetti disastrosi che l’assimilazione dell’arte in vita ha prodotto nel lavoro di molti; vivere la propria opera porta spesso alla dissoluzione di entrambe o, nella peggiore delle ipotesi, alla loro completa distruzione. Il mito romantico di quella che si potrebbe chiamare “coerenza assoluta”, vivo ancora oggi in svariati ambiti di produzione artistica (come ad esempio nel campo della musica rock), è sotto gli occhi di tutti, ed ha falcidiato intere generazioni, sottoforma di guerra, droga o isolamento, a seconda dei casi.
Concesso tutto questo, il piano di ricerca sarà in definitiva quello della quotidianità dell’esperienza artistica.
Si devono cercare motivazioni sì profonde e legate all’interiorità personale, ma non al punto da dover ritenerle “immateriali” o impraticabili per una ricerca razionale.
Bisognerà quindi necessariamente astrarre dalla congerie di irriducibili esperienze soggettive legate alla vita di tale o tal’altro autore delle motivazioni che si possano ritenere, con tutta probabilità, generali ed oggettive.
Non bisogna ad ogni modo avere la presunzione di assolutizzarle e ritenerle per questo valide in ogni ambito. L’astrazione implica sempre una riduzione di elasticità e la necessaria schematizzazione di una realtà che non può essere schematizzata compiutamente: la realtà della pensiero.
Ciò che davvero conta è non cadere in un cinismo assoluto da una parte, secondo il quale l’artista fa un lavoro come tanti, per fini materiali (si veda un intervento precedente); ma neppure sbrigare la faccenda tirando in causa una sorta di genio mistico che il destino ha dato in sorte a qualcuno piuttosto che ad altri.
Credo tuttavia che sia possibile almeno provare a capire le pulsioni che spingono l’artista all’opera, analizzando a fondo diversi esempi di vita. Pulsioni concrete, esistenti, necessarie: non afflati divini, ma neppure passioni cieche ed egoiste.
Ci sono infatti dinamiche sociali e mentali che si ripetono con schemi quasi paralleli in diversi momenti del processo della storia artistica.
Un approccio comparativo è possibile; questo è già sintomo di una profonda somiglianza della dialettica artistica in autori apparentemente del tutto autonomi e distanti, nel tempo e nello spazio.
In conclusione, mi limiterò a precisare i tre “momenti cognitivi” a mio avviso indispensabili per potere parlare di un’effettiva creazione artistica: il “principio del discrimine”, in un primo momento, come motore o principio della ricerca artistica; in seguito, la necessità di un’ "ἐποχή conoscitiva” o “dubbio positivo” come mezzo della creazione, imprescindibile per l’atto artistico; e infine il “desiderio del ricordo” come ultima tappa, meta dell’intero percorso creativo, e compimento della creazione.
è molto interessante. Sarebbe utile per la mia tesi magari avere dei libri su cui poter approfondire l'argomento. Potresti indicarmi qualcosa?
RispondiEliminaCaro Anonimo, bella domanda.
RispondiEliminaLe idee che trovi qui espresse (e che, nonostante sia passato qualche tempo, condivido ancora) sono del tutto personali e ricavate da letture autonome, principalmente biografie di scrittori e artisti visivi.
Perciò non saprei consigliarti un libro che parli proprio di queste cose, o almeno, non ne conosco ancora.
Posso comunque darti delle direttive di massima: Tatarkiewicz, "La storia di sei idee", panoramica eccezionale sulla storia dell'estetica; Valéry, "Introduzione al metodo di Leonardo da Vinci", dove vengono parzialmente toccati alcuni temi; e Franzini, "Fenomenologia della creazione artistica", ancora sul caso di Leonardo.
Mi dispiace non poterti essere più utile. Ma è lo stato dell'arte negli studi di questo tipo.
Ogni volta che ci si pone la domanda "cosa spinge l'uomo alla creazione artistica" si viene zittiti o con spiegazione biologiche poco interessanti, o con ridicoli richiami spititualistici, oppure con un'alzata di spalle rinunciataria. E tutt'ora sono anche io molto confuso.
Non esitare a chiedere ancora, e grazie.