martedì 16 febbraio 2010

Le mele della notte

La canzone di Aengus l’errante

Andai in un bosco di noccioli
Perché un fuoco mi bruciava nella testa,
E tagliai e pelai una verga di nocciolo,
Ed attaccai una bacca in fondo a un filo;
E quando le bianche falene si levarono sull’ali
E vacillando vennero come falene le stelle,
Gettai la bacca in un ruscello
E pescai una piccola trota d’argento.

Quando l’ebbi posata sul suolo
Soffiai sul fuoco per ravvivarlo,
Ma qualcosa sul suolo si agitò,
E qualcuno mi chiamò per nome: la trota
S’era fatta una splendida fanciulla
Con fiori di melo fra i capelli,
Che mi chiamò per nome e corse via
E scomparve per l’aria scintillante.

Sebbene errando mi sia fatto vecchio,
Errando per valli e colline,
Scoprirò dove mai se n’è fuggita,
E bacerò le sue labbra, le prenderò le mani;
Camminerò fra l’erbe alte dai molti colori;
E coglierò, finché i tempi non siano finiti,
Le mele d’argento della luna,
Le mele d’oro del sole.


La bellissima poesia di Yeats sopra riportata riprende il tema classico della metamorfosi che, fin dai tempi più remoti del mito greco, non ha mai cessato di affascinare il folklore e l’arte di moltissimi popoli europei. Yeats, poeta legato, soprattutto in gioventù, ai temi più tradizionali della cultura irlandese,( cultura che, va detto, lo scrittore si preoccuperà di diffondere largamente) rilegge in chiave misterica e simbolica una trasfigurazione magica, che avviene in un’epoca sospesa nel tempo ma che possiede uno spazio ben definito. Il luogo di svolgimento della lirica è un bosco irlandese, un bosco in cui il viandante Aengus (figura mitologica che richiama il vecchio Ulisse) capita per sedare un fuoco che gli “bruciava nella testa”.
Da questa premessa si dipana il lungo filo di mistero che sembra avvolgere ogni parola della poesia: perché il viandante Aengus, per placare questo enigmatico fuoco cerebrale (forse artistico, forse amoroso) si dirige nel bosco? La risposta non verrà fornita. Tutto è concatenato da una legge che sovrasta il personaggio e di cui il poeta si fa semplice intermediario: la risposta è celata da una volontà superiore che sovrintende agli atti del mondo.
L’episodio della pesca viene poi descritto con minuziosa precisione: ogni atto è evidenziato quasi a voler rimarcare l’evidente analogia fra i preparativi della pesca e i gesti che accompagnano un rituale religioso. Aengus taglia un ramo di nocciolo, lo pela, coglie una bacca, la lega ad un filo, annoda il filo al bastone e getta la bacca nella corrente; un’intera strofa viene spesa per descrivere la costruzione di una canna da pesca rudimentale e la scelta dell’esca. Gli eventi precipiteranno velocemente nella seconda strofa mentre nella terza si verrà addirittura avvolti dall’alone vago e profetico delle parole del vagabondo; il poeta intende quindi rimarcare con maggiore insistenza l’importanza fondamentale del costruirsi stesso dell’attrezzo che darà poi un senso alla vita intera di Aengus. Dalla canna da pesca, alla trota, passando per la trasfigurazione magica: ecco le scintille.
La magia che si manifesta nella seconda strofa getta però nuova luce sul motivo di tanta minuta volontà di descrivere: la trota si è tramutata in una ragazza ma la magia non è forse avvenuta per caso. Forse il ramo di nocciolo era incantato, o forse la bacca. Forse il filo era magico (bellissimo il senso di indefinito che emanano gli articoli indeterminativi) oppure ad essere magiche erano le acque. Oppure il pesce. Oppure ciò che ha reso possibile il tutto è stato l’intervento delle falene simili a stelle e il mescolarsi stesso degli astri a questi esseri della notte. Non sapremo mai quale fra questi oggetti sia stato il tramite, il catalizzatore magico che ha scatenato tutte le cose venute in seguito.
A mio avviso, il mistero evidente della lirica non consiste quindi nella domanda riguardante il destino di Aengus e della misteriosa fanciulla, quanto nella domanda che si cela nel rituale descritto nella prima strofa: perché il poeta ci dice tutto questo? Perché spendere tante parole per un gesto così elementare? È questo che Yeats vuole dirci, strizzandoci l’occhio per tutta la poesia. Certo, il finale fiabesco e astratto è necessario in una lirica di questo tipo ma è qui che l’arte si inserisce creando un enigma che, di verso in verso, riconduce il lettore al vero richiamo esoterico del testo.
Il segreto giace laddove si credeva che tutto fosse spiegato e banale.

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