venerdì 1 luglio 2011

Intervista a Davide Reviati. Parte prima.


[Qui l'intervista completa a Davide Reviati]

[Al Barnum non c'è tanta gente. Meglio per noi.
Il silenzio è percorso da un sommesso accenno di jazz che viene dall'interno.
Lo spunto dell'intervista è presto detto: il mio incontro, come al solito in ritardo, con Morti di sonno, romanzo grafico pubblicato da Davide Reviati – fumettista di Ravenna – nel 2009 per la Coconino Press. Avevo un disegnatore di successo sotto casa e non l'avevo mai letto né incontrato. Per rimediare, prendiamo da bere e cominciamo a parlare.]

Io ho sempre disegnato, da quando mi ricordo non ho mai smesso di farlo. Ce l'ho nel sangue: è una cosa che ti diverte, perciò la fai. Ti posso anche raccontare un aneddoto divertente, se vuoi.

Quando studiavo all'I.T.I.S, sezione elettrotecnica, riempivo di caricature dei professori i banchi, le colonne, tutto. Agli esami di maturità – non andavo proprio benissimo, come puoi immaginare – riuscii ad essere ammesso per il rotto della cuffia. Prima della prova orale, conoscendo la mia passione per il disegno, mi avevano chiesto di fare le caricature a tutti i professori della commissione. Tra di loro, come commissario interno, c'era anche il nostro professore d'impianti, uno dei più bersagliati dalle mie caricature. Non avevamo un bel rapporto. All'esame andai bene in italiano, ma fui disastroso nella parte tecnica. Usci con un 36 e due figure, una miseria.

Un po' di anni più tardi, per puro caso, mi capitò di incontrare il commissario esterno, un napoletano, a una fiera di vini a Bologna. Mi presentai, sicuro che si fosse già dimenticato da un pezzo della mia faccia. Ed invece mi riconobbe subito: - Lei è Reviati! Mi ricordo di lei! - Ero esterrefatto. Come poteva ricordarsi di un alunno non suo dopo tanto tempo?

Mi raccontò che i pareri su di me in commissione erano alla pari: metà voleva bocciarmi, e l'altra metà promuovermi. - Lei, grazie alle sue caricature, suscitò simpatia nella professoressa di chimica che decise di votare per la sua promozione. -

Ho continuato a disegnare invece di dedicarmi all'elettrotecnica. Dopo un segnale “divino” del genere, che altro potevo fare? E poi, a dire il vero, disegnare non è un lavoro così strano. Tutti i bambini disegnano. È come un istinto naturale. C'è un età però in cui si smette. Ma lo si fa soltanto per un retaggio culturale. Non so cosa sia: l'influenza familiare o quella sociale. Eppure vieni visto come ritardato se continui a fare 'i disegnini'. Perché?

Credo ci sia bisogno di abbandonare i preconcetti che si hanno nei confronti del fumetto. C'è sempre un po' di ritrosia, almeno qui in Italia, nel considerarlo una forma espressiva alla pari delle altre. Certo, c'è una bella differenza tra letteratura e fumetto. Si tratta di un altro linguaggio, del tutto diverso. Se volessimo semplificare, potremmo definirlo un tipo di letteratura che parla attraverso le immagini.

Per questo il cinema è un punto di riferimento importante. Spesso non ce ne rendiamo conto, ma certe scelte nel montaggio o certi stereotipi riguardo la fotografia e le riprese, sono entrati nel nostro immaginario. Sono elementi per nulla scontati, ma che tuttavia comprendiamo al volo, perché ormai sono codificati.

Così la nostra sensibilità, il ritmo narrativo, il montaggio stesso delle storie; tutto questo è stato influenzato a fondo dalle tecniche cinematografiche, al punto che esse riemergono spontaneamente in contesti a prima vista lontani come quello del fumetto.

Ma la mia fonte di ispirazione più vicina, escludendo il teatro, che pure è un riferimento sempre presente, è la letteratura. Al fumetto manca il movimento. Manca il sonoro. Questo lo distanzia dalla comunicatività del cinema. In confronto alla letteratura, invece, gli manca la possibilità evocativa della parola. La letteratura va in profondità: col solo uso delle parole può alludere, lasciare intendere. Il fumetto mostra le immagini.

A prima vista la difficoltà di armonizzare immagini e parole può sembrare uno scoglio, ma non è così. Come dice Anna Maria Ortese: 'La verità di un'opera sta tutta nella scrittura.' Niente di più vero. É lo stile letterario che spesso influenza gli argomenti di un romanzo. Il fumetto può aggirare l'ostacolo, poiché gioca su due elementi diversi.

È questa la sua enorme potenzialità, in ciò consiste la sua incredibile efficacia comunicativa: l'accostamento di immagine e parola. Questi due elementi possono danzare assieme, ed esistono tanti tipi diversi di ballo: twist, tango, tip-tap. Tutto sta nel saper variare queste danze nel modo giusto. È allora che diventa interessante: quando riesci a cambiare le ritmiche.

Spesso, mentre disegno e scrivo, è come se sentissi una musicalità, come se ascoltassi del jazz: autori quali Bill Evans o Chet Baker hanno influenzato il mio modo di disegnare. Mi piace lasciare andare la matita, come se seguisse la musica che in quel momento non viene dalla testa, ma fluisce liberamente dalle mani stesse. E non solo jazzisti: oltre al ritmo del disegno, c'è il ritmo della parola. E in questo mi hanno aiutato i cantautori che ascolto più spesso, italiani e non. Sergio Endrigo ad esempio ha costituito una colonna sonora imprescindibile per Morti di sonno, così come tutti i grandi chansonniers francesi: da Gainsbourg a Brel, su tutti.

Certo, lasciarsi andare al flusso – ma tenendo sempre ben strette le redini del narcisismo. Credo che lo stile letterario del fumetto debba restare semplice: evitare barocchismi e prolissità retoriche, per quanto affascinanti possano sembrare. Lo ripeto, immagine e parola devono andare d'accordo, oppure fare anche a cazzotti, magari generando scarti che il lettore è stimolato a colmare. Ma nessuna delle due deve fagocitare l’altra e rubargli la scena, è un equilibrio delicato e fragile.

Confesso che mi sento prima di tutto un disegnatore, uno schiavo retinico. Magari un disegnatore che ama giocare con le parole e ossessionato dalle storie. Per fare un esempio potrei citarti il calcio. Adoro il calcio. Le posture, i movimenti; mi diverte designarli. Li ho nella retina. Chi ha giocato sa cosa voglio dire. La posizione di chi si appresta a calciare la palla, la mischia, i movimenti.

Una volta disegnavo spesso in piedi, al telefono, nel corridoio. Almeno lo facevo prima di passare al cordless. Avevo un blocchetto e, mentre parlavo, disegnavo. Ne ho raccolta una quantità folle di questi schizzi, di questi disegni fatti senza pensare. Se vai a vedere, c'è una miriade di calciatori.

Morti di sonno, pag. 87


Non saprei dirti come si ritma concretamente un fumetto. Per me è un fatto istintivo, come chi non sa nulla di musica eppure riesce a suonare ad orecchio. È una cosa che ti viene naturale. Credo che i lettori intuiscano o sappiano riconoscere lavori ritmati male. Ripetizioni, didascalismo, ridondanza, vacuità. Tutte cose che nessun buon lettore può sopportare.

Prendiamo ad esempio il fumetto tipo a cui siamo abituati: il fumetto popolare. Per intenderci i fumetti Bonelli, come Tex e Dylan Dog; oppure, ancora più conosciuti, fumetti come Topolino. Da ragazzo ne ho letti moltissimi, e ho imparato molto da quelle letture. Ma oggi non sopporto certe loro aritmie.

In Tex, ad esempio, spesso succedeva che l'immagine seguisse pedissequamente ciò che veniva detto nella didascalia. Pagine e pagine di immagini che fungevano semplicemente da spiegazione ad una narrazione già conclusa in se stessa.

[Inferisco che il fumetto debba in un qualche modo affrancarsi dalle sue origini popolari per puntare a un prodotto artistico più complesso e profondo. Sbaglio?]

Non la metterei così. È giusto che ci siano più generi. Comico, avventura, noir, gialli, fantasy, western. C'è del buono in ognuno di questi. Ci sono disegnatori eccezionali nel fumetto più commerciale e pure grandi storie, non fraintendere. Se c'è davvero qualcosa da cui il fumetto si deve affrancare è uno stereotipo tutto italiano. Fino a non molto tempo fa, per esempio, in Italia era molto difficile parlare di graphic novel. Oggi, pian piano, sta entrando nell'immaginario collettivo.

Il cambio del nome non è banale. Sposta il concetto: non è fumetto, è graphic novel. 'Romanzo grafico'. Le graphic novel possono trattare temi che erano appannaggio esclusivo della letteratura e del cinema: storie vere, quotidiane, con personaggi a tutto tondo, narrazioni solide, temi difficili, socio – politici e spesso di denuncia.

Sono uscite delle recensioni di Morti di sonno su Le Monde e L’Express; ne hanno parlato in televisione a Canal Plus, all'interno della sezione cultura; a La Une; su Arté France. Programmi curati, di durata spesso maggiore dei generici cinque minuti culturali standard. Difficile immaginare oggi servizi così in Italia, che non parlino solo di fumetto commerciale.

[Già. In Francia Morti di sonno viene recensito sul quotidiano più importante della nazione e in Italia, nella città dell'autore, si fatica a trovarne una copia in bella vista nelle librerie del centro. Ma parliamone di questo romanzo.]

3 commenti:

  1. "muertos de sueno" visto in vetrina in una libreria a finaco di plaza mayor di Madrid !

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  2. Sarei davvero curioso di vedere come hanno reso alcune scelte lessicali in spagnolo. Tipo "scarpazzone", "savarnata", e via dicendo.

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