martedì 3 agosto 2010

Il principio del discrimine, ovvero l’Io distaccato

"Mi piacerebbe scrivere in onore dell'Uomo,

ma vorrei che gli uomini non toccassero ciò che scrivo."

J. Keats



[Per ogni sorta di chiarimento sul progetto generale, rimando al primitivo abbozzo dello schema così come lo scrissi più di cinque mesi fa e alla sua compiuta e più recente presentazione.

Come già ripetuto, state per leggere una traccia teorica, senza pretese di esaustività. Se lo trovate eccessivamente complesso, saltatelo.]


Nell'analisi razionale del processo creativo occupa un ruolo di primaria importanza il distacco più o meno graduale tra l'individuo creante e la società in cui egli vive.

La connotazione negativa del termine "discrimine" va mantenuta quasi totalmente nella nostra indagine; il fenomeno del distacco è spesso vissuto nel modo più traumatico dal soggetto, che, pur scegliendo liberamente di separarsi dalla società, ne è in un qualche modo costretto per necessità interiore *.

[* Formulazione paradossale solo in apparenza: così come le nostre azioni non sono direttamente riducibili al corpo, allo stesso modo non possono essere considerate al di fuori di esso. In questo caso la scelta individuale è e rimane libera, nonostante derivi da un bisogno – forse – biologico.]

Non possono non venire in mente i riti d'iniziazione che nascono con la stessa civiltà umana: per poter essere accettato come membro di una società (o, più semplicemente, di un gruppo che si riconosce come tale) l'individuo veniva isolato e lasciato solo ad affrontare la prova prescritta *.

[* cfr. Lévi-Strauss, e Propp]

L'analogia, che sulle prime può apparire sviante, ci serve tuttavia per capire una differenza fondamentale.

Al contrario del rito d'iniziazione, stabilito dalla comunità ed esplicitamente sostenuto dall'individuo al fine di essere accettato e trovare un posto autonomo in seno alla propria società di provenienza (cioè per integrarsi, diventare tutt'uno col gruppo e scampare alla solitudine), nel caso del processo artistico, il fine è diametralmente opposto.

È l'individuo che sceglie liberamente di distaccarsi dalla società di provenienza per ritrovare una propria dimensione soggettiva. L'allontanamento è la condizione preliminare per la creazione (o, più spesso, per il restauro) di una propria identità, che rischiava di andare perduta *.

[* Esemplificando: il poeta non scrive per essere accettato dalla società. Il suo non è uno sforzo di riavvicinamento (vedi la citazione iniziale di Keats; gli esempi sono troppi per essere raccolti qui); al contrario egli scrive per marcare una differenza ed attaccare quella società, in cerca di una voce autonoma.]

L'accento deve essere posto sulla libertà intrinseca di questo processo. Non stiamo parlando di clausure medievali o di reclusioni forzate; né il processo si consuma in romitaggi montani o in mezzo a deserti da anacoreti. No, l'allontanamento dalla società è senz'altro figurato, metaforico ("Io non sono come loro").

Una socializzazione soffocante non concede all'individuo la possibilità di coltivarsi, o, se si preferisce, di creare una propria dimensione sociale appagante e riconosciuta. Oltre all'Io
Sociale, l'uomo sente la necessità di un Io Individuale.

La crisi che segue dalla mancanza di un posto nella società, e dal rifiuto di essa, può sfociare nell'avversione e nel distacco dell'individuo, che sceglie di isolarsi e rifiutare il proprio tempo e spazio *.

[* Il sentimento di repulsione che nasce dal rifiuto della propria comunità (tanto più doloroso poiché si tratta sempre della "comunità materna", per così dire) spiega molti fenomeni altrimenti poco chiari e bizzarri; ad esempio l'incredibile quantità di opere satiriche e polemiche che affollano le nostre librerie. Difficile trovare un volume che non abbia almeno un diretto ed esplicito obiettivo polemico o che, più semplicemente, non dia prova di un'aperta ostilità nei confronti di qualcuno.]

Si potrebbe formulare, a livello filosofico, che il principio del discrimine, necessario punto di partenza per la ricerca artistica, consiste nella creazione dell'Io individuale oltre a l'Io sociale. Il mezzo è l'isolamento figurato dell'individuo dalla sua società.

Questo allontanamento, o questa discriminazione volontaria, è di capitale importanza per lo sviluppo di una propria voce autonoma, necessaria poiché voce del racconto.

La creazione artistica si basa infatti su un dialogo incessante tra l'individuo creante e la società in cui vive, in quanto, in mancanza di uno o dell'altra, non si avrebbe opera d'arte. L'una (l'opera d'arte) si basa sull'altra (società) in un rapporto incessante di amore ed odio, rapporto talmente indissolubile da diventare esso stesso condicio ontologica dell'arte in sé.

[* Di più: il rifiuto da parte della società può in alcuni casi addirittura amplificare il "potere creativo" – o foga artistica – del soggetto.]

A sua volta, il dialogo comporta l'esistenza di due voci. Il principio del discrimine assicura la creazione di una voce isolata e personale necessaria alla creazione artistica.

Come già Eraclito aveva intuito in tempi ormai remoti e confusi, "il conflitto (Πόλεμος) è padre di tutte le cose e di tutte re"; padre, poiché non si ha vita senza conflitto, l'una discende dall'altro (io esisto ed occupo uno spazio; questo spazio è necessariamente spazio sottratto ad altro; l'identità si fonda sull'alterità); re, poiché ogni sforzo umano è diretto da esso (ogni nostra più insignificante azione è già di per se conflittuale, in quanto si basa sulla scelta – in altre parole: aut-aut).

Anche e soprattutto la creazione artistica - in quanto figlia della vita - non può fare a meno del conflitto, e si basa su esso. Avremmo potuto chiamare il principio del discrimine, "principio del conflitto", se solo non suonasse terribilmente reazionario e decadente.

Questo spiega anche perché la dimensione della creazione artistica non può che essere individuale: è l'individuo che sceglie liberamente l'auto-discriminazione; è l'individuo che deve ricercare una propria autonomia espressiva; è l'individuo che stabilisce il rapporto dialogico con la società; è l'individuo che eleva la propria biografia a materia prima della creatività.

L'ultimo punto in particolare merita un'ulteriore breve precisazione.

Se è indubbio che nessuna opera d'arte può trascendere dall'individualità dell'artista (abbiamo detto che è un Io Individuale a causare l'Arte), allora è altrettanto vero che la biografia costituisce una privilegiata e formidabile chiave di lettura per l'opera in sé.

È evidente che l'opera non è l'uomo: sarebbe infantile e inesatto sostenerlo. C'è e ci sarà sempre un residuo della personalità dell'artista che viene mascherato dalla parole, dai colori, dalle note.

Siamo tuttavia pienamente convinti che non si possa dimenticare, come al contrario voleva Croce, l'esistenza di una persona in carne ed ossa dietro l'opera che stiamo, ad esempio, leggendo.

Valori come la coerenza, l'impegno sociale, la difesa senza compromessi dei propri principi, verrebbero negati se credessimo che la biografia è totalmente altro rispetto all'opera *.

[* No, su questo punto non si può davvero transigere: la biografia è una componente essenziale per capire a fondo le motivazioni, le scelte, le storie i soggetti che un autore decide di trattare, e non si può fare a meno di essa in uno studio che abbia la pretesa di essere filologico.]

Attenzione però a non equivocare l'importanza dell'individuo e della sua biografia con una sorta di elogio dell'individualismo. Dall'individualismo discenderebbe la superfluità della dimensione sociale che, come invece abbiamo già detto, è necessaria per il dialogo "Io-Altri".

La figura centrale del Dialogo, dopo quella del Conflitto, la analizzeremo meglio nel prossimo intervento, quando dall'allontanamento dell'individuo si passerà allo studio della tradizione come componente dialogica vera e propria, filtrante il rapporto "Io-Altri".

10 commenti:

  1. Condivido a pieno la questione del rapporto biografico, cosa che in ambito accademico in pochi sembrano aver compreso. Non si può conoscere solo la data di nascita e di morte di un autore, come voleva Heidegger!
    Ti rendo presente però un nuovo studio sul rapporto tra pensiero e corpo, confrontandomi con la nota n°1, che ritengo in gran parte giustificata solo da una tradizione cartesiana. (QUÌ PER IL LINK)

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  2. Strano l'abbia detto proprio Heidegger, lui che non aveva nulla da dimenticare!

    Ti ringrazio per il commento, fa sempre piacere.

    Un'ultima cosa: puoi precisare meglio il "gran parte giustificata da una tradizione cartesiana?" Temo di non avere afferrato.

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  3. perdonami ma non funziona più il link alla pagina, che doveva portare ad un articolo che sarebbe stato esplicativo della mia affermazione. Ne cerco uno funzionante e lo posto, altrimenti te lo porto.

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  4. "Formulazione paradossale solo in apparenza: così come le nostre azioni non sono direttamente riducibili al corpo, allo stesso modo non possono essere considerate al di fuori di esso. In questo caso la scelta individuale è e rimane libera, nonostante derivi da un bisogno – forse – biologico."

    N.B

    Citando Lorenz, il pensiero non è il cervello; su questo siamo tutti d'accordo - le leggi che regolano la psiche non sono direttamente riducibili a quelle delle sinapsi e degli impulsi nervosi.

    Ma d'altra parte non si può nemmeno postulare un pensiero distaccato dal corpo.

    Per questo ne ho parlato in termini di libero bisogno biologico.

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  5. beh, ritengo che seppur sia credo comunemente accetto che il pensiero sia superiore al corpo, non ne si ha dimostrazione incontrovertibile, e seppur autorevole, Lorenz resta pur sempre una citazione....

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  6. Secondo me ,gentile Iacopo, questa storia di voler in qualche modo schematizzare la nascita di ciò che noi chiamiamo arte è come cercare di costruire un recinzione con troppo poco legno in un campo eccessivamente vasto.
    Ad esempio, il dire che l'individualità è qualcosa che viene scelta volontariamente dall'artista, non mi sembra affatto una realtà universale. Spesso questo potrebbe essere anche solo un effetto dovuto appunto allo stretto rapporto tra "produttore" e "prodotto", non sempre un qualcosa di ricercato da colui che compie un opera d'arte.
    Altro punto di notevole debolezza del tuo viaggio "alla scoperta di come nasce l'arte" è in mio parere proprio il giudizio che si attribuisce a questa.
    E' arte quella fatta dall'artista o quella giudicata dalla società ? Sono sempre inscindibili per te? Senza dialogo non c'è arte dal tuo punto di vista?
    Per cortesia non facciamo troppo i filosofi dell'arte, è una partita persa.
    A priscindere da questo tuo intervento
    concludo con un giudizio complessivamente positivo su questo blog di cui ho letto con molta attenzione diversi post. Complimenti ai due giovani scrittori . Luca

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  7. Carissimo Luca, ti ringrazio per i complimenti, ma soprattutto per le stimolanti questioni che hai solletavo. Cercherò di rispondere per punti, sperando di chiarire per quanto mi è possibile le tue titubanze.

    Ho già parlato di come l'intero progetto sia difficile, controverso e, in certi punti, debole.

    Non ho assolutamente vergogna a dirlo. E' e rimarrà un'ipotesi di lavoro, tutto qui. Nessuna velleità da filosofi dell'arte, nessuna pretenziosa voglia d'assolutezza. Cerca di immaginare, al posto del campo e della recinzione, un po' d'acqua e un bicchiere che la 'in-forma' (e perciò stesso, la 'de-forma').

    Tuttavia credo che sia possibile quantomento tentare di dare un'interpretazione razionale ad un processo che ci interessa nella vita quotidiana. Il fenomeno artistico è una componente basilare del nostro essere uomini e merita, secondo noi, più attenzione di quanta gliene sia stata finora accordata da chi di dovere.

    L'intero nostro discorso di fonda su alcune teorie di base, che riteniamo imprescindibili e a cui non ci sentiamo di rinunciare: la presa di coscienza riguardo l'importanza dell'Io biografico su quello artistico o estetico; la permanenza storica dei temi dell'arte; il tramonto del genio e dell'autore Assoluto; la proposta dell'eliminazione definitiva di generi e correnti.

    L'individualità (e non l'individualismo) è necessaria per l'opera d'arte soltanto come primo momento di un processo che abbiamo diviso in 5 fasi. Nuovi chiarimenti non tarderanno molto, promesso.

    Stesso discorso per l'interessante questione della "doppia faccia" dell'arte, che abbiamo intenzione di approfondire nel terzo intervento su questo stesso tema.

    Spero che alla fine di questo percorso, questi punti ti risultino più chiari.

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  8. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  9. Invito anche Elia a prendere parte alla discussione, se desidera; non vorrei sembrare una sorta di portavoce, dato che il progetto è comune! :)

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  10. Bene, sto ritrovando le informazioni che avevo raccolto al link. La teoria di cui ti parlavo è quella dell'"embodiment", che contrasta il principale dualismo cartesiano. il principale promotore è il linguista George Lakoff, puoi leggere qualcosa in proposito qui http://it.wikipedia.org/wiki/George_Lakoff. Io continuo a ricercare per ritrovare il link.

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